1841. Ingannato da due falsi agenti di spettacolo, il violinista di colore Solomon Northup (Chiwetel Ejiofor), nato libero nello stato di New York dove vive con la moglie e i figli, viene rapito e venduto come schiavo. Non smettendo di sperare in una futura occasione di riappropriarsi dalla sua libertà e della sua identità, Solomon cercherà di mantenere una dignità pur misurandosi ogni giorno con la spietata crudeltà di diversi proprietari terrieri, culminante nel periodo trascorso nella piantagione del degenerato mercante di schiavi Edwin Epps (Michael Fassbender). Nel dodicesimo anno della sua odissea, l’incontro l’incontro fortuito con un abolizionista canadese (Brad Pitt) cambierà la sua vita.
Co-prodotto da Brad Pitt (anche attore, in un ruolo tanto breve quanto fondamentale per lo svolgimento della trama) e ben sceneggiato da John Ridley che ha saputo condensare in 2 ore i 12 lunghi anni di schiavitù riportati nell’autobiografia di Northup, il terzo lungometraggio dell’acclamato videoartista McQueen non è affatto, come è parso invece ad alcuni critici italiani, un’opera illustrativa e manichea di ossessione voyeuristica votata al sensazionalismo; accentuato da squarci di cruda e durissima violenza impudica e senza sconti (i terribili colpi di frusta, la cupa scena dello stupro, la tentata impiccagione che avviene tra la calma agghiacciante) ed intervallato da momenti di dolente intensità (la richiesta disperata di Patsey a Solomon, la conclusiva riunione familiare), il livido iperrealismo della messinscena arriva infatti a segno con una robustezza di linguaggio mutuata da un approccio che non è ricattatorio, ma estremamente concreto e controllato: appoggiato ad un formalismo tutt’altro che asettico (la forza evocativa delle immagini, la suggestione delle ambientazioni e dei paesaggi), è un film a tinte forti di sicuro impatto che racconta una terribile realtà con un distacco entomologico e un disincanto disperatamente contenuto ed elegante, assurgendo a nitida rievocazione di un orrore a macchia d’olio inammissibile ed inconcepibile attraverso la limpida ma coinvolgente rappresentazione della lotta per una libertà inscindibile dalla dignità (“Non voglio sopravvivere, io voglio vivere”). In linea con i precedenti film del regista per la scrittura stilistica, ma anche per le tematiche collaterali (il supplizio dei corpi, la disumanità del potere), riesce a scuotere lo spettatore rifiutando i fronzoli edulcoranti da cinema hollywoodiano per affidarsi piuttosto a spunti emotivi in bilico tra finezza e trazione (lunghi silenzi, fiammelle nell’oscurità, indugi su dettagli e primi piani carichi di intensità), combinando nel contempo depurato classicismo e tensione metaforica (i controcampi di indifferenza dei padroni bianchi, la landa di cotone che sembra comandata da leggi divine, il contrasto tra la bellezza degli sfondi e la crudeltà degli eventi). Eccellente il cast di interpreti, dal dolente protagonista Chiwetel Ejiofor al crudele schiavista di Michael Fassbender (attore feticcio di McQueen), fino alla giovane rivelazione Lupita Nyong’o (esordio sorprendente). Golden Globe per il miglior film drammatico e 3 importanti premi Oscar (su un totale di 9 candidature): miglior film, attrice non protagonista e sceneggiatura non originale.
12 Anni Schiavo | |
12 Anni Schiavo | |
Summary
“12 Years a Slave”; di Steve McQueen; con Chiwetel Ejiofor, Michael Fassbender, Lupita Nyong’o, Brad Pitt, Sarah Paulson, Paul Dano, Benedict Cumberbatch, Paul Giamatti, Alfre Woodard, Scoot McNairy, Taran Killam, Garret Dillahunt, Quvenzhané Wallis, Ruth Negga, Michael Kenneth Williams, Bill Camp; drammatico; USA, 2013; durata: 134’. |
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1 Comment
marco1946
La statuetta per me è già assegnata (miglior film e miglior regia)
anche perché da molti anni i film drammatici prevalgono su quelli brillanti (THE ARTIST non fa primavera)
piccola noticina su PAUL DANO
il suo personaggio è un bastardo al cubo; non viene punito in questa storia, ma suppongo che la orribile fine che fa Eli Sunday (ne IL PETROLIERE) sia da considerare una vendetta del cielo