Roma, secondo dopoguerra. Ottenuto con fatica un umile impiego municipale come attacchino di manifesti, il povero Antonio (Lamberto Maggiorani) viene però derubato della sua bicicletta, indispensabile per svolgere il lavoro. Così, accompagnato dal figlioletto Bruno (Enzo Staiola), l’uomo inizia una disperata ricerca del ladruncolo attraverso una capitale afflitta da solitudine e povertà.
A due anni dal clamoroso insuccesso del pur notevole Sciuscià (apprezzato e premiato all’estero ma inizialmente accolto con freddezza in patria, dove fu rivalutato solo in seguito), Vittorio De Sica si dedicò da subito con grande passione (tanto da contribuire anche finanziariamente) ad un nuovo progetto nato da un’idea di Cesare Zavattini, che per la loro quinta collaborazione propose di realizzare un libero adattamento per lo schermo di “Ladri di Biciclette”, romanzo autobiografico dello scrittore e incisore Luigi Bartolini; in realtà, del testo originale Zavattini mantenne soltanto il titolo e lo spunto di partenza per sviluppare la sceneggiatura perlopiù originale (imbastita a più riprese con contributi di Oreste Biancoli, Adolfo Franci, Gherardo Gherardi, Gerardo Guerrieri, Suso Cecchi D’Amico e dello stesso De Sica) di quello che divenne uno dei più alti risultati del suo lungo e fruttuoso sodalizio con il regista, nonché uno dei più noti e celebrati (anche a livello internazionale) capolavori del neorealismo. Perché, nel pieno rispetto delle principali caratteristiche della corrente (dalla ricerca di location reali all’ingaggio di attori non professionisti), applicando in maniera esemplare la cosiddetta “teoria del pedinamento” il film segue da vicino e quasi in tempo reale i personaggi per coglierne con vibrante autenticità priva di retorica le dolorose tribolazioni e quindi favorire una genuina identificazione; così, in un’efficace armonizzazione tra lucido realismo e vibrante poetica del quotidiano, il film offre un vivido spaccato di una Roma tra macerie e diffidenza (sineddoche dell’Italia postbellica prossima alla ricostruzione ma ancora segnata dal conflitto) attraversata da un uomo comune in cerca di quella bicicletta che assurge a metafora del riscatto, tematica portante connessa ad una critica sociale che, tramite tale approccio morale veicolato da una partecipe compassione, elude la retorica e supera l’ideologia per far capo piuttosto innanzitutto alla componente umana. Nonostante le difficoltà a reperire fondi, per restare fedele alla sua idea di cinema De Sica rifiutò una collaborazione con il potente produttore statunitense O’Selznick perché contrario alla sua proposta di scritturare per il ruolo principale un divo di fama internazionale come Cary Grant, al quale il regista preferì infatti l’operaio Maggiorani, il quale (ben supportato dal piccolo Staiola) si rivelò in effetti davvero efficace nel delineare lo straziante personaggio con commovente, indimenticabile adesione. Pur inizialmente accolto con una certa diffidenza dal pubblico italiano, sulla scia delle reazioni entusiastiche da parte di personalità come René Clair e André Bazin il film divenne un grande successo internazionale coronato da numerosi riconoscimenti importanti: a tal proposito, oltre alle vittorie in patria (dove si aggiudicò 6 Nastri d’Argento) e alle menzioni in diversi festival europei (da Locarno a Bruxelles), la pellicola si distinse infatti anche ai BAFTA, ai Golden Globe e infine anche agli Oscar, dove ottenne una meritata candidatura per la migliore sceneggiatura e una statuetta come miglior film straniero (assegnata come premio speciale non competitivo, otto anni prima dell’istituzione ufficiale della categoria).
Ladri di Biciclette | |
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Summary
id.; di VITTORIO DE SICA; con LAMBERTO MAGGIORANI, ENZO STAIOLA, LIANELLA CARELL, ELENA ALTIERI, VITTORIO ANTONUCCI, MEMMO CAROTENUTO, GINO SALTAMERENDA, MARIO MENICONI; drammatico; Italia, 1948; B/N; durata: 92’; |
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