Chris Kyle (Bradley Cooper), U.S. Navy SEAL, viene inviato in Iraq con una missione precisa: proteggere i suoi commilitoni. La sua massima precisione salva innumerevoli vite sul campo di battaglie e mentre i racconti del suo grande coraggio si diffondono, viene soprannominato “Leggenda”. Nel frattempo cresce la sua reputazione anche dietro le file nemiche, e viene messa una taglia sulla sua testa diventando il bersaglio primario per gli insorti. Allo stesso tempo, combatte un’altra battaglia in casa propria nel tentativo di essere sia un buon marito che un buon padre, pur trovandosi dall’altra parte del mondo. Nonostante il pericolo e l’altissimo prezzo che dovrà pagare la sua famiglia, la rischiosa missione in Iraq di Chris dura quattro anni. Una volta tornato a casa dalla moglie (Sienna Miller) e dai figli, Chris scopre che ciò che non riesce proprio a lasciarsi alle spalle è la guerra.
Tratto dall’omonima autobiografia di Kyle (assassinato ad inizio 2013 da un commilitone con disturbo post-traumatico), alla sua uscita l’ultimo film diretto dal grande vecchio Eastwood è subito diventato un successo, pur accompagnato da ferventi polemiche forse inevitabili considerati la materia trattata e il noto orientamento politico del regista. Palesemente schierato con l’ideologia dell’odierno conflitto permanente con cui siamo costretti a convivere, American Sniper è infatti il resoconto di una guerra ancora in corso dal punto di vista di colui che pare essere il cecchino più letale della storia USA (circa 160 uccisioni accertate, oltre 250 probabili); un uomo che, come imposto a suo tempo dal padre con cinghia facile, è diventato un “cane da pastore” pronto a difendere le “pecore” dagli attacchi dei “lupi”: perché è così che il genitore suddivide l’umanità, e il figlio ascolta, obbedisce e poi asseconda fiero e sicuro l’americanissimo pensiero impugnando il mantra Dio-patria-famiglia. E già da questo si capisce come tale controversa figura ben rappresenti quel radicato puritanesimo repubblicano che Eastwood ha da sempre sposato, ma Kyle è anche un personaggio in linea con le complesse figure del suo cinema, un eroe americano (l’idealista pronto anche a tramutarsi in assassino) che comunque non nasconde contraddizioni e conflitti interiori. Anche per questo, pur non trovandoci certo davanti ad un’opera pacifista, liquidare il film in base all’ideologia e quindi bollarlo semplicemente come una fastidiosa agiografia di un patriota significa comunque non comprenderne appieno la ben più ampia complessità: se nel trasformare un’operazione militare in un’apologia del coraggio dei soldati USA, convinti dell’alto valore della loro missione, può dare l’idea di un film di propaganda mimetizzata in un action movie bellico, d’altra parte nell’affrontare nuovamente il tema (ricorrente nella sua filmografia) della dicotomia tra gli oneri del singolo e le ragioni di sopravvivenza collettive, Eastwood non afferma la liceità del conflitto né tantomeno pretende di negarne la fatale atrocità (non si torna mai dalla guerra, nemmeno da superstiti); infatti, calando il punto d’osservazione nella psiche di Kyle e trascinando lo spettatore in un progressivo inabissamento nella sua realtà ossessionata, la macchina da presa aderisce alla percezione del protagonista senza occultare il tormento che la sua posizione comporta (la vacuità esistenziale, la scarsa considerazione della debolezza umana, il progressivo inaridimento affettivo), cogliendo peraltro con chirurgica precisione il senso di disorientamento indotto dall’incontro-scontro tra l’adrenalina della rischiosa missione e le intenzioni patriottiche, in un cortocircuito che rende quindi impossibile tornare alla normalità. In tutto ciò, se la zavorra della retorica e un certo schematismo concettuale possono far sfociare il film in un’opera a tesi, d’altra parte entrambi sono ben assorbiti nella forza dello stile: piuttosto che una denuncia esplicita, qui c’è la linea narrativa di un western pre-revisionista (d’impronta fordiana) appoggiata a chiarezza espositiva; come se Eastwood, puntando su una resa lucida, aspra e sintetica scaturita dalla trasparenza classica del suo approccio, mettesse il suo patriottismo al servizio di una realistica pur respingente condizione umana invece che ad una sterile o faziosa manipolazione della verità. A questa materia, inquadrata con perizia anche per merito della fidata squadra di tecnici (fotografia di Tom Stern, montaggio di Joel Cox e Gary Roach, reparto sonoro di prim’ordine), corrispondono con ammirevole coerenza una regia di inappuntabile solidità formale, sobria ma poderosa (da notare ad esempio la notevole sequenza dello scontro nella tempesta di sabbia), ma anche l’eccellente performance di Bradley Cooper (anche co-produttore), davvero notevole per aderenza fisica (per il ruolo l’attore ha assunto quasi 20 kg di muscoli), capacità mimetica e scavo psicologico. 6 nomination agli Oscar (tra cui miglior film, attore protagonista e sceneggiatura non originale) e un premio per il miglior montaggio sonoro.
American Sniper | |
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Summary
id.; di Clint Eastwood; con Bradley Cooper, Sienna Miller, Kyle Ganner, Luke Grimes, Max Charles, Sam Jaeger, Jake McDorman, Cory Hardrict, Navid Negahban, Brian Hallisay; guerra; USA, 2014; durata: 132'. |
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