Sei anni dopo la morte violenta del marito, Amelia (Essie Davis) è ancora in lutto, eppure cerca di lottare per dare un’educazione al piccolo Samuel (Noah Wiseman), il figlioletto ribelle di sei anni che la donna pare non riuscire proprio ad amare. I sogni del bambino sono però tormentati da un mostro che crede sia venuto per ucciderli entrambi. Così, quando l’inquietante libro di fiabe intitolato “Mister Babadook” arriva misteriosamente nella loro casa, Samuel si convince che l’oscura figura raffigurata su quelle pagine sia proprio la terribile creatura che ha sempre sognato; le sue allucinazioni diventano quindi incontrollabili e il bambino sempre più imprevedibile e violento. Amelia, seriamente spaventata dal comportamento del figlio, si trova perciò costretta a fargli assumere dei farmaci. Ma quando la donna comincia a percepire una presenza sinistra intorno a lei, nella sua mente inizia ad insinuarsi il dubbio che la creatura su cui Samuel l’ha messa in guardia possa essere reale.
Ampliando e rielaborando un suo cortometraggio del 2005 (l’apprezzato Monster), la regista e sceneggiatrice australiana Jennifer Kent (già attiva come attrice, soprattutto in produzioni televisive) esordisce trionfalmente nel lungometraggio con questo sorprendente horror indipendente (il budget ridotto è stato raccolto in parte con il crowdfunding) caratterizzato da una forte identità femminile e denso di implicazioni psicologiche tutt’altro che trascurabili: filtrato attraverso l’immaginario dell’infanzia, il complesso rapporto centrale fra la madre e il figlio (entrambi a proprio modo instabili quanto fragili) alimenta infatti la pregnante e stratificata ricchezza tematica di questa intensa ed intelligente favola nera che supera i limiti del film d’atmosfera o di spavento, preferendo piuttosto creare un senso di progressiva inquietudine attraverso l’indagine introspettiva, le tensioni nei contrasti affettivi, la sofferenza delle ferite ancora aperte e le estreme conseguenze a cui può condurre la dilaniante repressione di un dolore troppo difficile da gestire; orchestrando le componenti con un’eccellente padronanza del mezzo e un’innegabile abilità nel sostenere la suspense, la regista mette così l’ammirevole brio-tecnico espressivo al servizio di un discorso in chiave allegorica (l’Uomo Nero che assurge al malessere interiore) sull’elaborazione del lutto, la convivenza con le tragiche avversità, il peso dei pensieri oscuri e la necessità di affrontarli per poi (come suggerisce il centrato finale) imparare a viverli come facenti parte della nostra esistenza. Infatti, non priva di floride ambiguità pronte a diventare riflessioni sull’inconscio (orrore reale o paranoia?), questa sorprendente variazione della casa infestata spaventa per davvero proprio perché scava nel profondo delle nostre angosce, evitando i facili espedienti dell’horror di routine ed acquistando quindi, coadiuvata anche da una funzionale compattezza figurativa (ottima la fotografia di Radek Ladczuk), una forza visionaria ancor più coinvolgente, in cui si avvertono inoltre le influenze di illustri predecessori; perché in tutto ciò l’autrice dimostra altresì una rilevante perizia anche nel ricorso a citazioni e contaminazioni, non solo negli allusivi riferimenti iconografici a George Méliès, all’espressionismo tedesco e ai vecchi horror con Lon Chaney (specie Il Fantasma del Castello di Tod Browning, film del 1927 andato perduto e di cui rimangono solo fotografie), ma anche nei rimandi interni alle inquietudini di Polanski e Aronofsky, alle ambientazioni di Friedkin e Burton, alle suggestioni di Kubrick e soprattutto alle opere di Mario Bava: infatti, oltre al più esplicito e comunque gustoso omaggio reverenziale a I Tre Volti della Paura (facilmente riconoscibile quando appare su uno schermo televisivo), da notare è anche come lo spunto e in parte l’impianto narrativo sembrino richiamare, pur senza fini imitativi, uno degli ultimi film del maestro italiano (probabilmente tra i numi tutelari dell’opera), ovvero quello Shock del 1977 la cui trama ruotava proprio attorno al complesso rapporto tra una madre e un figlio tormentati dal passato. Sorretto anche dall’ottima performance della protagonista Essie Davis, ben supportata dal piccolo quanto efficace debuttante Noah Wiseman, Babadook (titolo nato dall’anagramma di “A bad book” ed in parte ispirato al termine Babaroga, corrispettivo serbo del nostro Babau) si è non per niente imposto, fin dal trionfale debutto al Sundance, come uno dei migliori horror degli ultimi tempi, raccogliendo elogi entusiastici e facendo incetta di riconoscimenti in tutti i festival in cui è stato presentato. Da non perdere.
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Summary
“The Babadook”; di Jennifer Kent; con Essie Davis, Noah Wiseman, Daniel Henshall, Hayley McElhinney, Barbara West, Benjamin Winspear; horror; Australia, 2014; durata: 89’. |
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