Ben-Hur

Gerusalemme, I Secolo. Il capo della legione romana Messala (Stephen Boyd), fa imprigionare e ridurre in schiavitù il nobile mercante giudeo Ben Hur (Charlton Heston), un tempo suo fedele amico. In seguito, liberato grazie ad una serie di favorevoli circostanze, Ben Hur decide di tornare in Palestina per trovare la sua famiglia e, nel frattempo, saldare il conto.

Tratto da un romanzo di Lew Wallace (già portato sullo schermo all’epoca del muto prima nel 1907 e poi nel 1925), adattato dall’abile Karl Tunberg (con contributi, tra gli altri, di Christopher Fry e Gore Vidal), questo celebre peplum diretto da Wyler e girato a Cinecittà è ricordato come uno dei più maestosi kolossal della storia di Hollywood: 14 mesi di riprese, infiniti metri di pellicola, quasi 500 comparse parlanti, 100.000 figuranti e record ai premi Oscar con ben 11 statuette (miglior film, regia, attore protagonista a Charlton Heston, attore non protagonista a Hugh Griffith, fotografia, scenografia, costumi, colonna sonora, montaggio, effetti visivi, sonoro). Pur non privo di retorica né di passaggi di sagace furbizia, resta un film nella grande tradizione hollywoodiana di notevole tenuta spettacolare in cui convivono con sagacia e un certo equilibrio il dramma epico, il raccconto biblico (le accorte scene della Passione di Cristo) e la rievocazione storica (efficaci ambientazioni sostenute da un imponente apparato scenografico). Non mancano momenti di riuscito pathos e alcuni passaggi da ricordare: tra questi, da citare è certamente almeno la celeberrima sequenza della corsa delle bighe (co-diretta da Andrew Marton e Yakima Canutt, che per completarla impiegarono ben 3 mesi di riprese, ottenendo inoltre un Golden Globe speciale). Tra i numerosi collaboratori alla regia (in seconda unità) figurano anche Mario Soldati e Sergio Leone (entrambi non accreditati).