Se con la trilogia dei Before (Sunrise, Sunset e Midnight) Richard Linklater ci aveva già reso partecipi della sua ossessione tempo, ora con Boyhood l’acclamato regista e sceneggiatore eleva la sfida contro l’aleatorietà temporale attuando un’operazione rivoluzionaria e senza precedenti per come è stata concepita e realizzata: dalla primavera del 2002 ad ottobre 2013, ogni anno il cast e la troupe si sono riuniti per girare in brevi periodi un variabile numero di scene, il tutto per un totale di “soli” 39 giorni effettivi di riprese, distribuiti però in un periodo di lavorazione che (comprese preparazione e post-produzione) copre un arco di tempo di ben 12 anni. Questo per raccontare la prima parte della vita del giovane Mason (Ellar Coltrane), dall’infanzia all’inizio del college, facendo coincidere la maturazione dei personaggi con quella effettiva degli interpreti: dal legame con i genitori divorziati ai matrimoni falliti della madre, dalle nuove scuole alle prime cotte fino al rapporto con la sorella Samantha (Lorelei Linklater, figlia del regista), assistiamo quindi al viaggio emozionale del giovane protagonista mentre lo vediamo davvero crescere davanti ai nostri occhi.
Così, sfidando e dipanando l’inestricabile dicotomia tra periodo reale e durata della visione (snodo fondamentale nell’essenza e nel motore della finzione cinematografica), Linklater ha realizzato un’opera unica e straordinaria che, anche nella sua enorme ambizione che sconfina nello sperimentale, sarebbe comunque quantomeno riduttivo, o meglio decisamente scorretto, liquidare come come un esercizio di stile fine a se stesso: l’intento non risiede infatti nella semplice esibizione del tempo che passa, bensì nel cogliere, senza gli artifici di trucchi o effetti digitali, i cambiamenti non solo fisici, ma anche interiori degli individui in correlazione ai mutamenti di un contesto sociale che, in continua evoluzione culturale (il clima post-11 Settembre), politica (lo scorcio sulla campagna elettorale di Obama), tecnologica (la trasformazione dei mezzi di comunicazione) e musicale (il nutrito reparto musicale che funzionalmente passa da McCartney a Bob Dylan fino ai Coldplay), ne integra i comportamenti, le abitudini, le attitudini; anche per questo, senza quindi indulgere in tutto ciò al voyeurismo di routine, nel suo realismo da period movie Boyhood si impone come una sorta di coming-of-age definitivo proprio perché va al di là, assumendo piuttosto il valore di un’educazione esistenziale dove nulla succede a parte ciò che accade nella vita, con gli sviluppi, gli avvenimenti e le tappe del percorso di formazione che, innestati nel montaggio virtuosistico di Sandra Adair, si confondono e trasfigurano nella solo apparente banalità quotidiana, colmando i rallentamenti e le accelerazioni delle numerose ellissi temporali e conferendo alla narrazione una particolare fluidità e un fascino spiazzante: con il prezioso apporto di funzionali interpreti di livello (decisamente azzeccato il protagonista Coltrane, ben supportato da un bravo Ethan Hawke e da un’eccellente Patricia Arquette premiata con l’Oscar come migliore attrice non protagonista), il tempo spezzato si uniforma sullo schermo in un’eterno presente in cui il divenire diventa però percepibile, facendo emergere le normali ed insieme straordinarie scadenze esistenziali con un’aderenza totale al flusso della vita, suscitando così una genuina immedesimazione e un profondo coinvolgimento; con un approccio di sobria classicità, lineare nella struttura e vicino al minimalismo eppure denso di dettagli, le quasi tre ore di durata, depurate da velleità impegnate o facile retorica, passano infatti in un unico respiro e colpiscono al cuore senza bisogno di ricorrere ad artifici o espedienti di trama. Perché nello scorrere della vita non c’è niente di ordinato e prevedibile. Presentato con successo al Sundance, prima del succitato Oscar a Patricia Arquette (unico premio su 6 importanti candidature tra cui miglior film, regia, sceneggiatura originale e attore non protagonista ad Ethan Hawke) il film ottenne un’altra decina di importanti riconoscimenti internazionali, tra cui l’Orso d’Argento a Berlino per la miglior regia, 3 BAFTA (tra cui miglior film) e altrettanti Golden Globe (miglior film drammatico, regia e miglior attrice non protagonista a P. Arquette). Un’esperienza filmica irripetibile che non a caso potrebbe assicurarsi un posto speciale nella storia del nuovo cinema americano.
Boyhood | |
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Summary
id.; di Richard Linklater; con Ellar Coltrane, Ethan Hawke, Patricia Arquette, Lorelei Linklater, Tamara Jolaine, Nick Krause, Jordan Howard, Evie Thompson; drammatico; USA, 2014; durata: 166’. |
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