C’era una Volta in Anatolia

Nel cuore della notte, tre auto arrivano nei boschi dell’Anatolia. A bordo, un commissario di polizia (Yilmaz Erdogan) con due uomini a servizio, un procuratore (Taner Birsel), un medico (Muhammet Uzuner) e un presunto assassino (Firat Tanis). Quest’ultimo cercherà di guidare la squadra verso il luogo dove ha sepolto la sua vittima. Ma durante la ricerca, ulteriori verità sull’accaduto verranno a galla.

Vincitore del Gran Prix Speciale della Giuria al festival di Cannes, il sesto film del raffinato autore turco Nuri Bilge Ceylan (ormai veterano della Croisette dopo i premi ottenuti con i precedenti “Uzala” e “Le Tre Scimmie”) parte da una trama gialla che in definitiva è però quasi un pretesto: perché, più che l’azione comunque sapientemente governata (sviluppata in una sola, lunghissima notte e snodata in una struttura in tre atti che non a caso rimanda a Cechov), al regista e sceneggiatore interessano innanzitutto i personaggi; infatti, se Dostoevskij sembra sempre dietro l’angolo per pregnanza contenutistica come anche per densità narrativa (a questo proposito, gli oltre 150 minuti di durata potrebbero risultare prolissi per gli spettatori che non cercano impegno), d’altra parte in questo caso la contrapposizione tra bene e male prevale sul binomio delitto e castigo, anche perché alla base c’è soprattutto il tema del rimpianto inteso come fallimento esistenziale, qui espresso e filtrato attraverso lunghissimi silenzi, intensi passaggi poetici ed avvolgenti ed enigmatiche ambientazioni (splendida fotografia di G. Tiryaki) che ben restituiscono il funerario senso di dolore celato e riflesso nelle anime perdute dei protagonisti.