Ucraina, fine degli anni Venti. Dopo la morte del nonno, il giovane contadino Vassilij (Semën Svašenko), nuovo responsabile del kolchoz, promuove nuove idee spronando la comunità a dotarsi di nuove macchine agricole per facilitare il lavoro. Così, i lavoratori si uniscono in cooperativa per comprare un trattore, ma ben presto la riluttanza del kulak Coma (Pëtr Masocha), sobillato dai proprietari terrieri, sfocia in un tragico gesto estremo.
Tra gli ultimi veri capolavori del muto, questo terzo, straordinario lungometraggio di uno dei maggiori cineasti d’est Europa è giustamente considerato non solo il risultato più alto della sua poetica, ma anche uno dei più solidi, citati e rappresentativi pilastri dell’espressione cinematografica sovietica. Capitolo conclusivo di una ideale trilogia (iniziata con “Zvenigora” e proseguita con “Arsenale”) che il regista dedicò all’identità rurale del suo Paese natale, il film supera i limiti dell’opera a tesi sublimando gli intenti di propaganda attraverso un linguaggio da poema epico che, sostenuto da una incredibile potenza a livello visivo e formale, eleva il tutto a splendida ed appassionata elegia bucolica della comunione tra “madre terra” ed umana esistenza: non a caso, il film si apre e si chiude con una morte, la prima accolta con serenità perché avvenuta in linea con l’ordine delle cose (l’anziano che ha vissuto nella terra alla quale ritorna) e la seconda, pur tragica in quanto innaturale (l’omicidio di Vassilij), salutata con un funerale che si contrappone a una nascita e sfocia in una festa che, nella sua forza allusiva ed evocativa, può estendersi a un intero popolo; è il ciclo della vita che, in analogia con lo scorrere delle stagioni, riflette un processo di rigenerazione e al contempo di rivoluzione messo in scena in forma di avvolgente inno pastorale animato da un vibrante lirismo che ne veicola la potente ed emozionante spiritualità panteista: dopo una fitta pioggia purificante, dalla toccante sequenza di un sogno d’amore scaturisce il realistico incanto di una vivida memoria onirica attraverso la quale, frutto di un perenne conflitto tra realtà rurale ed inevitabile avanzata del progresso che porta a proiettare lo sguardo nel futuro rifiutando il passato senza però perdere di vista le radici, si suggella una forte e sentita rivendicazione di una forte identità collettiva. Presentato alla prima edizione del festival di Venezia, in URSS suscitò subito forti polemiche per i suoi modi controversi di servire la rivoluzione, ma in seguito (nonostante i tagli di alcune sequenze più esplicite nelle edizioni per l’estero) divenne uno dei film sovietici di maggiore risonanza internazionale.
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Summary
“Zemlja”; di Aleksandr Petrovič Dovženko; con Semën Svašenko, Stepan Škurat, Julija Solnceva, Elena Maksimova, Nikolaj Nademskij, Pëtr Masocha, Vasilj Krasenko; drammatico; B/N; URSS, 1930; durata: 84’; |
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