L’Uomo nell’Ombra

L’ex primo ministro britannico Adam Lang (Pierce Brosnan), rifugiatosi su un’isola degli States mentre è indagato per presunti crimini di guerra, ha scritto un libro di memorie che l’editore ha affidato, per una revisione, a Mike McAra. Quando quest’ultimo muore in circostanze misteriose, gli subentra un altro ghost writer londinese (Ewan McGregor), che dovrà ordinare e completare l’autobiografia del funzionario. Intuiti i loschi intrighi di potere di Lang, l’ignaro scrittore finirà col rimanere invischiato in una fitta rete di oscuri complotti politici.

Tratto, con una certa fedeltà, dal romanzo omonimo di Robert Harris (che l’ha anche sceneggiato con il regista), è uno dei migliori titoli dell’ultimo Polanski. Intriso di cospirazioni, inganni, tradimenti e allusioni alla società moderna (e forse a Tony Blair), è un teso e coinvolgente thriller politico sviluppato come un mystery alla Hitchcock. Non privo di temi usuali al regista (il sospetto verso il potere, la diffidenza nelle istituzioni), è encomiabile per tenuta della suspense, equilibrio dei toni, validità delle atmosfere e disegno dei personaggi. E in tutto ciò, nel manovrare nuovamente elementi a lui cari (dalla sfiducia nei meccanismi del potere al distacco dell’individuo dalla società), Polanski dimostra ancora una volta la sua grande abilità nell’infondere alla vicenda un perenne senso di minaccia anche attraverso un’inquietante, centrata (e centrale) ambiguità. Il beffardo finale è un punto alto che si fa ricordare. Ineccepibile anche la direzione degli attori: se in uno dei suoi ruoli più riusciti (un personaggio non a caso senza nome), lo scozzese McGregor si conferma interprete talentuoso e versatile, anche Brosnan è qui più efficace del solito, mentre di grande spessore è la stoica dark lady atipica di Olivia Williams, mai così incisiva ed ammaliante. Orso d’Argento a Berlino per la migliore regia.