1988. Dopo 15 anni di dittatura militare, le pressioni internazionali costringono Augusto Pinochet a indire un referendum attraverso il quale il popolo deciderà se affidargli la presidenza per altri 8 anni. Per la prima volta i partiti dell’opposizione possono accedere al mezzo televisivo per 15 minuti giornalieri, ma la consapevolezza delle poche probabilità di successo li spinge ad affidare la campagna del NO al giovane pubblicitario René Saavedra (Gael García Bernal), che con poche risorse e grande intraprendenza mette in piedi un ambizioso progetto per liberare il Paese dall’oppressione.
Dopo “Tony Manero” (che raccontava l’origine della dittatura) e “Post Mortem” (ambientato nel suo momento più violento), il cileno Pablo Larraìn chiude la trilogia su Pinochet raccontando la fine del regime, l’unico della storia moderna conclusosi con un’elezione democratica. Con uno stile che, attraverso la brillante intuizione di utilizzare le betacam e il formato 4:3 (gli stessi della TV anni ’80), fonde repertorio e fiction in maniera calzante, coinvolgente ed evocativa, la storia si snoda attorno a un confronto: da una parte il rappresentante del partito della destra Guzmán (Alfredo Castro, alla sua terza esperienza con il regista), solitario arrampicatore sociale mosso dall’ideologia del commercio, senza talento ma servile ed utile alla dittatura; dall’altra il giovane e anticonformista sostenitore dell’opposizione René Saavedra (un bravissimo Gael García Bernal), dipinto con una passione così misurata e ponderata da indurre a simpatizzare con il personaggio anche senza l’artificioso ausilio di espedienti narrativo-propagandistici. Seguendo la figura di quest’ultimo, che per la sua campagna rifiuta di mostrare l’orrore per puntare invece su un approccio decisamente più sorridente, il film adotta un piglio che, pur mantenendo la stessa vibrante passione politica, si distacca per certi versi dai precedenti: al lucido disgusto e alla distaccata disperazione che permeavano i due precedenti, in quest’ultimo pannello del trittico subentrano invece la vittoria e la speranza; il che non esclude un’amarezza di fondo coerente con l’indagine storica, politica ed etico-ideologica di Larraìn il cui scopo, più che capire, è mettere in luce: finita una dittatura (che per lungo tempo fece della cultura della violenza una triste abitudine), ne inizia subito un’altra, ovvero quella della commercializzazione e dei media. Presentato a Cannes 2012 nella Quinzaine des Réalisateurs, è il primo film cileno ad aver ottenuto la nomination all’Oscar come miglior film straniero.
No - I giorni dell'arcobaleno | |
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Summary
"No"; di Pablo Larraín; con Gael García Bernal, Alfredo Castro, Antonia Zegers, Luis Gnecco, Marcial Tagle, Néstor Cantillana, Jaime Vadell, Pascal Montero; drammatico; Cile, 2012; durata: 110'. |
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1 Comment
Ollie Barber
Ma nella seconda parte Larraìn cambia ritmo, senza quasi farcelo percepire. Il film si distende, si apre alla retorica più classica e mostra gli atti concreti – intimidazioni e repressioni – di una dittatura comunque in dismissione (fu Pinochet a volere il referendum che lo sconfisse). È qui che il protagonista capisce emotivamente che, oltre alla forma, il contenuto del prodotto è potentissimo. Ovvero il Cile ha alle spalle ha una tragedia sociale davanti a cui lui stesso ha parzialmente chiuso gli occhi, dirottandoli sui nuovi strumenti e accessi che la società gli ha fornito. E cambiare la storia – quando si tratta di soprusi e morti – non è solo frutto di talento strategico: è un bisogno, un atto di giustizia. C’è qualcosa che va oltre alla tattica e al simbolo pubblicitario e la realtà va riesumata con una specie di maieutica sociale.