Nell’Irlanda degli anni Cinquanta, la giovane Philomena Lee viene rinchiusa in un convento di suore a Roscrea dopo essere rimasta incinta di un figlio illegittimo. Poco tempo dopo il parto, il bambino le viene sottratto per essere dato in adozione. Cinquant’anni dopo, Philomena (Judi Dench) non ha ancora rinunciato all’idea di ritrovare il figlio perduto. Troverà un’inaspettata risorsa nel giornalista Max Sixsmith (Steve Coogan) il quale, inizialmente riluttante, deciderà in seguito di aiutarla nella ricerca.
Dal romanzo “The Lost Child of Philomena Lee” (tratto da una storia vera, e molto ben adattato per lo schermo da Jeff Pope con Steve Coogan, che nel film interpreta l’autore Sixsmith) l’ottimo regista Frears, eclettico ma coerente, ha tratto un film con tutte le qualità del miglior cinema inglese, britannico non solo nei modi, nell’eleganza della confezione e nella recitazione di classe, ma anche nell’attento senso del controllo: ben calibrato nel dosaggio tra pathos e leggerezza, racconta una dolorosa vicenda umana riuscendo a non scadere nella storia d’appendice, evitando i patetismi pur non escludendo sensibilità e commozione. Stemperando i toni drammatici con momenti di genuino umorismo (senza furberie da commediola commerciale), la trama è snodata in un’abile struttura narrativa in cui (complici l’agile sceneggiatura e l’efficace montaggio) passato e presente si rincorrono e si intrecciano, seminando indizi e facendoli poi evolvere in rivelazioni, attivando così, con la sicurezza e l’intelligenza di un cinema di qualità accessibile anche al pubblico più vasto, un coinvolgimento autentico e sincero senza perdere di vista le importanti tematiche interne. Rievocando l’atroce situazione (vista anche in “Magdalene” di Peter Mullan) delle giovani ragazze affidate a religiose le quali, mosse da una benevolenza solo apparente, puntavano a punirle con comportamenti decisamente poco cristiani, “Philomena” è infatti un film laico che tra peso della verità, contraddizioni della realtà e accettazione del dolore, affronta il tema centrale della concezione della fede opponendo a quell’istituzione ecclesiastica inaridita dal fanatismo un confronto tra due punti di vista differenti, se non proprio agli antipodi: da una parte il giornalista Sixsmith, studioso di storia russa e giornalista disilluso in crisi professionale, indignato e colmo di risentimento; dall’altra Philomena, anima semplice che legge romanzetti rosa, eppure capace di una ricchezza d’animo e di un coraggio davvero stupefacenti: un tempo umiliata e trattata da indecente, ora non cerca vendetta, ma solo la verità; la sua forza risiede anche in un approccio alla religione decisamente personale, coltivando una fede privata, quasi pragmatica e molto personale che, non senza apertura mentale e un rispetto costante (anche davanti ad inaspettate rivelazioni), arriva ad un perdono sincero; un perdono che, senza rinnegare il passato, può portare all’accettazione della vita, anche con tutte le sue enormi ingiustizie. Ad interpretarla, con metodo e passione, la grande Judi Dench, attrice shakespeariana che recita di fino, capace di offrire una cruciale performance toccante ed emozionante, da nomination all’Oscar. Accanto a lei non sfigura comunque l’ottimo Steve Coogan, anche partecipe co-produttore e, come suddetto, determinante co-sceneggiatore. 3 nomination ai Golden Globe e premio Osella per la migliore sceneggiatura al festival di Venezia.
Philomena | |
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Summary
id.; di Stephen Frears; con Judi Dench, Steve Coogan, Charlie Murphy, Simone Lahbib, Sophie Kennedy Clark, Neve Gachev, Charles Edwards; drammatico; G. B., 2013; durata: 94'. |
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