Nel secondo dopoguerra, alle soglie dell’epoca repubblicana in Italia, il bandito Salvatore Giuliano (Pietro Cammarata) è assoldato dai movimenti separatisti per formare un esercito per la causa dell’indipendenza della Sicilia, portando scompiglio e seminando il terrore sull’isola, tanto da rendersi protagonista di numerosi episodi violenti come l’oscura e famigerata strage di Portella della Ginestra.
Più che un vero e proprio film su Giuliano, questa straordinaria opera di Francesco Rosi (anche co-sceneggiatore, insieme a Enzo Provenzale, Franco Solinas e Suso Cecchi D’Amico) si impone innanzitutto come una delle più lucide ed efficaci rievocazioni su schermo della difficile realtà siciliana a cavallo tra gli Anni Quaranta e Cinquanta, anche se progressivamente il suo sguardo pare allargarsi a situazioni e sviluppi più ampi e stratificati. Perché, riducendo appunto le gesta del famoso bandito ad una massiccia cornice per concentrarsi piuttosto sulle conseguenti implicazioni sociali e politiche della vicenda e del contesto in cui si svolse, Rosi a raccontare magistralmente intere pagine di storia italiana, il tutto in maniera assolutamente non convenzionale né tantomeno didattica o didascalica, scomponendo gli avvenimenti in blocchi attraverso un’efficace struttura narrativa assolutamente libera nonché pressoché inedita: ad una prima parte che, imperniata principalmente sulla ricostruzione, assume un taglio quasi documentaristico pur guardando alla lezione del primo neorealismo di Visconti (con tanto di impiego di interpreti non professionisti trovati sul luogo), segue una seconda in cui, concentrandosi invece perlopiù sul processo e sull’emergere della figura di Gaspare Pisciotta (interpretato dall’ottimo Frank Wolff), lo svolgimento vira nella fiction con un tono formalmente più classico ma ugualmente coinvolgente, aprendo così ad una maggiore eloquenza declamatoria. Così, sempre in controtendenza con il canonico linguaggio dell’epoca, partendo dall’incipit che mostra il ritrovamento del cadavere di Giuliano (unica immagine a figura intera del bandito, il cui volto non viene peraltro mai mostrato da vicino, quasi a sottolineare il suo percorso carico di interrogativi ma scarno di risposte), la narrazione si espande attraverso una sapiente scomposizione in blocchi per snodarsi in un sapiente schema di flashback eterogenei, salti temporali e perfino sconnessioni che però risultano in linea con il tono del racconto e le conseguenti relazioni e associazioni. A questo proposito, di grande efficacia è quindi anche il ricorso a tre differenti toni di bianconero della fotografia (ad opera del grande Gianni Di Venanzo), che si adattano agli episodi e agli argomenti trattati per restituirne e rimarcarne lo spirito e gli intenti (sovraesposizioni da servizio fotografico per la morte di Giuliano, chiaroscuro di forti contrasti per i passaggi rievocativi e quasi televisive sfumature di grigi in grana grossa per il processo di Viterbo). Così, in quello che rimane uno dei suoi film più ambiziosi e importanti, ricco di passaggi di grande impatto e di sequenze potentissime che alcuni definirono non a caso degne di Ėjzenštejn (dalla già citata strage di Portella della Ginestra alla scena in cui la madre del bandito riconosce la salma del figlio, finanche alle sequenze della marcia dei soldati), Rosi realizza un’opera che trascende e va oltre la classica definizione (talvolta limitante) di film d’inchiesta: infatti, in linea con quell’urgenza civile tipica del suo cinema, l’autore trova piuttosto una sintesi pressoché esemplare tra la sapienza comunicativa di un grande giornalista e la drammatizzazione genuina, appassionata e trascinante di un sapiente narratore, innalzando il tutto a pregnante affresco storico di costume che, nel trattare con magistrale potenza dei problemi e dei drammi dell’isola mettendoli in correlazione al rapporto tra mafia e potere politico-economico, infonde inoltre alla sua solida denuncia un respiro più universale che appare inoltre sempre attuale. Uscito vietato ai minori di 16 anni (esempio lampante di censura politica), ottenne comunque un grande successo di pubblico e critica, coronato dall’Orso d’Argento a Berlino per la miglior regia e da 3 Nastri d’Argento in patria alla migliore fotografia in bianco e nero, all’efficacissima colonna musicale di Piero Piccioni e al regista del miglior film (premio condiviso ex aequo con Nanni Loy, premiato invece per Le Quattro Giornate di Napoli), contribuendo inoltre a favorire la nascita della commissione nazionale d’inchiesta sulla mafia.
Salvatore Giuliano | |
Salvatore Giuliano | |
Summary
id.; di FRANCESCO ROSI; con FRANK WOLFF, PIETRO CAMMARATA, SALVO RANDONE, RENATO PINCIROLI, MASSIMO MOLLICA, NANDO CICERO; drammatico; Italia, 1962; B/N; durata: 107’; |
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