Durante l’inverno del 1952, le autorità britanniche entrarono nella casa del matematico, criptoanalista ed eroe di guerra Alan Turing (Benedict Cumberbatch) per indagare su una segnalazione di furto con scasso. Finirono invece per arrestare lo stesso Turing con l’accusa di “atti osceni”, incriminazione che lo avrebbe portato alla devastante condanna per il reato di omosessualità. Le autorità non sapevano che stavano arrestando il pioniere della moderna informatica. Noto leader di un gruppo eterogeneo di studiosi, linguisti, campioni di scacchi e agenti dei servizi segreti, ha avuto il merito di aver decifrato i codici indecifrabili della macchina tedesca Enigma durante la II Guerra Mondiale.
Basato sul romanzo di Andrew Hodges “Alan Turing: Storia di un Enigma” e trionfatore all’ultimo festival di Toronto, il primo film anglofono del norvegese Morten Tyldum (già autore di “Headhunters”, candidato al BAFTA per il miglior film straniero e maggior incasso di sempre in Norvegia) non si distingue per guizzi di stile o eclatanti invenzioni di regia, ma d’altra parte si avvale di un’abile costruzione drammaturgica in cui, per merito della solida sceneggiatura di Graham Moore, si alternano con certo equilibrio intensità da dramma intimistico, cadenze da spy-story e suspense da thriller politico, il tutto in funzione di una vicenda così interessante e straordinaria da riuscire comunque già di per sé a stimolare ed affascinare. Calato in una confezione di qualità (fotografia di Óscar Faura, scenografie di Maria Djurkovic, ottima colonna musicale di Alexandre Desplat, montaggio di William Goldenberg fluidamente efficace nell’innestare con perizia i diversi piani temporali), al di là dei suoi limiti illustrativi di biografia un po’ accademica e dell’innegabile decoro nell’approccio convenzionalmente british, vale infatti soprattutto per la convincente tenuta narrativa che attraverso una vasta gamma di tonalità e di emozioni (tensione ed inquietudine, disperazione e speranza) lascia emergere un vibrante sottotesto morale che fa capo ad un importante messaggio di eroismo connesso ad una vivida e non trascurabile denuncia sociale sul tema della discriminazione. In tutto ciò, nell’offrire un ritratto vivido e appassionante ma non agiografico né retorico di un uomo brillante e profondamente complesso, la carta vincente è il protagonista Benedict Cumberbatch, ormai divo lanciatissimo che, supportato da comprimari all’altezza (tra cui spicca una Keira Knightley che finalmente riesce a convincere appieno), lo interpreta con ponderata efficacia e sentita intensità, riuscendo a coglierne i tormenti interiori con lucida, attenta e struggente partecipazione. 8 candidature agli Oscar (tra cui miglior film, regia, miglior attore e miglior attrice non protagonista) e un premio per la migliore sceneggiatura non originale.
The Imitation Game | |
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Summary
id.; di Morten Tyldum; con Benedict Cumberbatch, Keira Knightley, Matthew Goode, Charles Dance, Mark Strong, Rory Kinnear, Allen Leech, Matthew Beard; drammatico; USA/ G.B., 2014; durata: 113’. |
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