Il 20 Febbraio arriverà nelle sale cinematografiche italiane (distribuito da BIM) il film 12 Anni Schiavo, candidato a 9 premi Oscar. Diretto da Steve McQueen (già regista di Hunger e Shame), il film è interpretato, tra gli altri, da Chiwetel Ejiofor, Michael Fassbender, Lupita Nyong’o, Brad Pitt, Sarah Paulson, Benedict Cumberbatch, Paul Giamatti, Alfre Woodard e Paul Dano. In occasione della prossima uscita italiana, ecco il trailer italiano, alcune note sul film e una galleria di immagini tratte dalla pellicola che racconta l’incredibile storia vera di un uomo e della sua battaglia per la sopravvivenza e la libertà.
SINOSSI
Stati Uniti. Negli anni che hanno preceduto la guerra civile americana, Solomon Northup (Chiwetel Ejiofor), un nero nato libero nel nord dello stato di New York, viene rapito e venduto come schiavo. Misurandosi tutti i giorni con la più feroce crudeltà (impersonificata dal perfido mercante di schiavi interpretato da Michael Fassbender) ma anche con gesti di inaspettata gentilezza, Solomon si sforza di sopravvivere senza perdere la sua dignità. Nel dodicesimo anno della sua odissea, l’incontro con un abolizionista canadese (Brad Pitt) cambierà per sempre la sua vita.
NOTE DI PRODUZIONE
(dal pressbook del film)
Già autore di film appassionanti e intensi come HUNGER e SHAME, McQueen pensava al film ancora prima di aver letto il libro. Gli interessava affrontare il tema dello schiavismo americano in una chiave inedita: dal punto di vista di un uomo che aveva conosciuto sia il bene della libertà che l’ingiustizia della schiavitù. McQueen sapeva che all’epoca non era raro che i neri nati liberi negli stati del nord fossero rapiti e venduti come schiavi al sud. Ma solo in un secondo tempo ha scoperto che esisteva un’autobiografia che raccontava proprio quell’esperienza. “Volevo fare un film sullo schiavismo, ma non sapevo da che parte cominciare”, spiega McQueen. “Mi piaceva l’idea di partire da un uomo libero, come tanti di quelli che vedranno il film al cinema, un qualsiasi padre di famiglia che viene rapito e ridotto in schiavitù. Mi sembrava la persona adatta per ripercorrere la storia della schiavitù”.
McQueen ne ha parlato con sua moglie ed è stata lei a scoprire l’autobiografia di Solomon Northup, un libro che un tempo aveva scosso l’opinione pubblica americana, ma che non era più molto conosciuto né letto. “Mia moglie ha trovato il libro e appena l’ho aperto non l’ho più lasciato”, racconta il regista. “Ero stupefatto e incantato da questa incredibile storia vera. Si leggeva come Pinocchio o una fiaba dei Fratelli Grimm: un uomo viene strappato alla sua famiglia e trascinato in un tunnel oscuro, in fondo al quale, però, c’è una luce”.
McQueen ha scoperto – come già molti altri prima di lui – che Northup era un acuto osservatore oltre che uno dei pochi che all’epoca riuscirono a raccontare al mondo, dal di dentro, che cosa fosse veramente la schiavitù. Ma il libro di Northup non è solo la cronaca sconvolgente di una storia vera, è un’opera moderna, il racconto avvincente del coraggio fisico e morale di un uomo. È una testimonianza profonda e sofferta che pone una delle grandi domande della letteratura: e voi, che cosa avreste fatto?
Il 2013, l’anno in cui ricorre il 160° anniversario della riacquistata libertà di Northup, sembrava il momento ideale per ricordare la sua storia. “Era tanto tempo che non leggevo un libro di questa portata”, prosegue il regista. Mi sembrava impossibile non averne mai sentito parlare. E non lo conoscevano neanche molti degli americani a cui l’ho menzionato. Secondo me, per la storia americana è importante come Il diario di Anna Frank per la storia europea: è il viaggio di un uomo nella disumanità. Tutti credono di conoscere questo periodo della storia americana, ma credo che saranno in molti a restare sorpresi di quello che vedranno in questo film, come sono rimasto sorpreso io leggendo il libro. Sentivo che per me sarebbe stato un onore e un privilegio portare sul grande schermo questo libro e fare conoscere la sua storia al pubblico”.
Questo film consentiva al regista – famoso per l’eleganza e la bellezza formale delle sue inquadrature anche nelle scene più forti e intense – di sfruttare al meglio il suo personale stile visuale e insieme affinare le sue doti di narratore. Ma a ispirarlo è stata soprattutto la storia di Solomon: una storia di enorme sofferenza, ma raccontata con commovente dignità e ammirevole determinazione. “È una vicenda straordinaria e toccante, che ci ha offerto subito la prospettiva che cercavamo, un periodo di tempo abbastanza lungo per poter indagare e capire veramente che cosa fosse la schiavitù, che cosa significasse vivere da schiavi giorno dopo giorno”, commenta la produttrice Dede Gardner.
L’ADATTAMENTO CINEMATOGRAFICO
McQueen ha scelto di affidare l’adattamento del libro al romanziere e sceneggiatore John Ridley. Ridley si è subito innamorato di quella che fin dall’inizio non gli è sembrata solo la cronaca di un’esperienza drammatica, ma una vera e propria odissea: un viaggio lungo, tormentato e pieno di colpi di scena, al centro del quale c’è la perseveranza di un uomo determinato a tornare dai suoi cari.
“Mi è sempre sembrata l’odissea di un uomo che cerca disperatamente di ritornare a casa. Oggi, chiunque potrebbe salire su un aereo e andare da New York alla Louisiana, e ritorno, in un battibaleno. Ma se pensiamo a quel periodo, era una distanza fisica ed emotiva incolmabile per un uomo che oltre a tornare a casa voleva anche riprendersi i suoi diritti e la sua dignità. Questa è la storia di un viaggio infinito, nel corso del quale Solomon Northup arriva a capire quello che molti di noi danno per scontato: il privilegio di essere un americano libero”, spiega Ridley.
Ridley spera che il film impedisca alla gente di dimenticare un passato che invece andrebbe integrato nella narrazione americana presente e futura. “È assurdo che questo libro non sia una lettura obbligatoria a scuola. Steve ed io ci riteniamo persone abbastanza colte, eppure lo abbiamo scoperto per caso. Spero che dopo questo film non sarà più così per nessuno”.
Il progetto è decollato quando sono entrati in campo Brad Pitt e la sua casa di produzione, Plan B. “Credo proprio che senza Brad Pitt il film non si sarebbe mai fatto”, afferma McQueen. “Come produttore, ha dato un contributo determinante perché lavora con dedizione ed è sempre presente e collaborativo. Come attore, anche se in un piccolo ruolo, in pochi minuti di film è capace di fare più di chiunque altro. Sono molto grato a lui, a Dede Gardner e a Plan B”.
I produttori erano decisi a realizzare il film così come lo aveva immaginato McQueen. “Abbiamo aderito al progetto perché ci credevamo”, spiega la Gardner. “Steve McQueen è un regista che non ha paura di andare fino in fondo e di rischiare, e per questo lo ammiro. Lo schiavismo era un sistema perverso e profondamente violento, è difficile anche solo parlarne. Ma a noi sembrava importante mostrarlo al cinema, e sapevamo che Steve voleva essere onesto e raccontare le cose come stavano. La sua è una forma di rispetto per il pubblico”.
Fin dall’inizio, i produttori hanno capito che l’approccio di McQueen sarebbe stato molto particolare. “Steve ha subito individuato gli elementi emotivi del film”, spiega il produttore Jeremy Kleiner. “Per esempio, voleva far capire al pubblico che all’epoca scrivere una lettera era un’azione che poteva costare la vita. Oggi ci scambiamo e-mail, ma nel mondo di Solomon era pericoloso anche solo procurarsi il materiale necessario per scrivere una lettera. Per Steve era importante comunicarlo al pubblico, e da questo suo bisogno è nata la scena di apertura del film”.
Per Kleiner, l’universalità del film sta nel fatto che rivela tanti aspetti diversi della natura umana. “Ogni personaggio con sui Solomon entra in contatto incarna un aspetto della condizione umana. C’è la benevolenza. Ci sono il tormento interiore e la spietatezza. E c’è l’amore”, conclude. “Solomon, invece, incarna il rifiuto di cedere alle avversità”.
CHIWETEL EJIOFOR: DIVENTARE SOLOMON NORTHUP
Ejiofor dice di essere entrato in sintonia con Solomon appena ha cominciato a leggere la sua storia. E questo lo ha aiutato a immedesimarsi nel personaggio via via che il suo viaggio diventa sempre più drammatico. “La prima volta che ho letto il copione e poi il libro sono rimasto sconvolto”, ricorda Ejiofor. “È stato terribile scoprire cosa si nascondeva dietro il velo che era calato su quel periodo storico. Non avevo mai letto né visto niente del genere in tutta la mia vita. Certo, sapevo della schiavitù, ma ne avevo una conoscenza vaga. Questa storia ti fa vedere le cose attraverso gli occhi di Salomon e piano piano riesci a capire quello che deve avere passato. Ti rendi conto di cosa può significare un’esperienza del genere per un essere umano. È una sensazione che non si dimentica, mi è rimasta dentro. Incredibile”.
Per quanto l’idea lo entusiasmasse, Ejiofor confessa di essersi sentito intimidito, all’inizio, dal copione. “Sapevo che sarebbe stato un ruolo difficile da interpretare – fisicamente, psicologicamente ed emotivamente”, ricorda. “Ho detto a Steve che dovevo pensarci. Ma ormai la storia mi era entrata dentro, e in fondo sapevo che per niente al mondo avrei rinunciato a quella parte”.
Subito dopo aver accettato di partecipare al progetto, Ejiofor ha iniziato la sua trasformazione. Per prima cosa, ha voluto documentarsi sulla realtà del sud degli Stati Uniti all’epoca di Solomon. “Il libro è stato il mio punto di riferimento”, spiega. “Ma andare in Louisiana a visitare le piantagioni dove tutto è stato conservato com’era allora, dalla casa dei padroni alle baracche degli schiavi, e dove si sono svolti gli eventi narrati nel libro, è stato illuminante. Ho raccolto storie e testimonianze, ed è stato come vedere riaffiorare fantasmi di un passato lontano”.
Ejiofor ha dichiarato che ad aiutarlo nelle scene più drammatiche è stata la consapevolezza dell’importanza di raccontare la storia di Solomon oggi. “Interpretare questo ruolo è stata una sfida enorme, il tipo di sfida che fa passare tutto il resto in secondo piano, finché il personaggio non diventa un’ossessione”.
Un’ossessione che si è rivelata illuminante. “Ho pensato molto a questo film e alla sua attualità”, spiega Ejiofor. “C’è qualcosa, in Solomon, che trascende il tempo e lo spazio. Qualcosa di profondo che ci riguarda tutti. È l’attaccamento al valore della libertà, alla famiglia e alle persone che ci sono care. Sta in questo la forza della storia di Solomon. È una storia sfaccettata, profonda, tragica e edificante, ma soprattutto molto umana”.
MICHAEL FASSBENDER SUL SIGNOR EPPS
In 12 Anni Schiavo, Michael Fassbender e Steve McQueen riprendono una collaborazione cominciata con HUNGER e proseguita con SHAME. Questa volta Fassbender esplora un aspetto diverso del carattere umano, nei panni di Edwin Epps, il proprietario di schiavi della Louisiana a cui Solomon viene ceduto in pagamento di un debito. Epps si rivelerà un uomo tormentato e dedito all’alcol, preda di furiose esplosioni di rabbia alimentate dalla testarda determinazione di Northup.
Fassbender è rimasto colpito prima di tutto dalla storia. “È una storia importante da raccontare”, dichiara l’attore. “Parla di quello che gli esseri umani sono capaci di fare ai loro simili”. Per mettere a fuoco il personaggio di Epps, l’attore ha cercato di capire le ragioni alla base del suo comportamento. In un mondo agricolo in cui ci sono poche certezze, Epps le trova nell’illusione del controllo esercitato in modo cruento e dispotico sui suoi schiavi. Ma Northup rappresenta una sfida a tutto questo. “Io credo che Solomon sia più intelligente di Epps”, osserva l’attore, “e che lo faccia sentire inadeguato. Per Epps rappresenta una minaccia, e questo lo espone a continue ritorsioni”.
Lavorare con McQueen, con cui ormai c’è un rapporto collaudato, ha consentito a Fassbender di fare emergere tutto questo. “Steve capisce il comportamento umano. È spinto da una curiosità autentica e affronta qualsiasi tema senza pregiudizi”, spiega Fassbender. “Fa il suo lavoro con grande passione, e si aspetta che tutti gli altri facciano altrettanto”.
LUPITA NYONG’O SU PATSEY
Nei panni di Patsey – la schiava che è la bracciante più efficiente della piantagione di Epps, e insieme lo sfortunato oggetto della sua tormentata passione erotica – c’è l’attrice Lupita Nyong’o. Nata in Messico, cresciuta in Kenya e laureata alla scuola di cinema di Yale, esordisce in un ruolo che le ha richiesto un enorme coinvolgimento emotivo.
Steve McQueen l’ha scoperta durante una lunga serie di audizioni. “Abbiamo visto più di mille candidate e Lupita spiccava su tutte”, ricorda il regista. “Appena l’ho incontrata ho pensato subito: è lei”. Ha un lato tenero, vulnerabile, ma anche la grande forza del suo personaggio. Mi ha fatto sentire quasi in soggezione”.
Per avvicinarsi al personaggio di Patsey, Lupita ha voluto documentarsi sulla vita al tempo della schiavitù. “Per prima cosa, sono andata a vedere la nave schiavista esposta al Museo delle cere di Baltimora. Sono salita a bordo, un’esperienza che mi ha sconvolto. Non avevo mai visto la schiavitù così da vicino”, dice. “Ho anche letto molti libri. Ho cercato di procurarmi tutte le informazioni che sono riuscita a trovare sulla vita degli schiavi all’epoca”. Ha perfino imparato a svolgere alcune delle loro attività tradizionali: “Facendo ricerche, ho scoperto che le donne facevano bambole con le bucce di mais”, dice a proposito del giocattolo più diffuso delle piantagioni del sud schiavista. “Così, ho imparato a farle e è diventata una mia passione. Una piccola cosa che mi ha fatto sentire più vicina al mio personaggio”.