Durante i cinque giorni dell’annuale festival di musica country di Nashville si intrecciano le vicende di un eterogeneo gruppo di personaggi, da star affermate ad artisti in cerca di successo fino a cameriere, mogli adultere, giornalisti e politici locali, mentre l’assistente di un candidato alla presidenza organizza un grande spettacolo in occasione delle primarie.
Scritto da Joan Tewkesbury (assidua collaboratrice dell’autore), la quale trasse materia dai diari che tenne durante un viaggio in location, questo dodicesimo, straordinario ed imperdibile lungometraggio di Robert Altman si impose con grande e definitiva incisività nel panorama del cinema statunitense dell’epoca: infatti, pur superando i canoni che avrebbe caratterizzato le opere della New Hollywood, il grande regista non si allinea all’ondata di più giovani autori che in seguito ne sarebbero diventati i nuovi rappresentanti, prendendo piuttosto parte a tale processo di rinnovamento con un’unica e personale maturità che, non certo meno feroce o efficace, rende Nashville uno dei film americani più importanti e rappresentativi degli anni Settanta. Perché, scardinando appunto gli stilemi del tradizionale racconto cinematografico hollywoodiano, il film contribuì ad infrangerne le convenzioni attraverso un mirato ed inedito processo di de-costruzione su molteplici piani, a partire dalla singolare impostazione e dall’inconsueta struttura stilistico-narrativa finanche all’esposizione dell’intreccio e all’approccio alle tematiche. Lasciato in assoluta libertà artistica, Altman gira dal vivo, lasciando che gli attori (tutti eccellenti) improvvisino i dialoghi e l’ambiente influenzi le riprese (ricorrendo ad un innovativo sistema di presa diretta su molteplici piste), generando un processo creativo dinamico e in perenne evoluzione nel quale realtà e finzione si mescolano e sovrappongono (da notare a questo proposito le apparizioni di Elliott Gould e Julie Christie nei ruoli di loro stessi): ne è uscito un cortocircuito polifonico e sfaccettato che come tale, coerentemente contraddistinto da una contraddittorietà che sfocia progressivamente nel nonsenso, non a caso ben restituisce la caotica sensazione di disorientamento post-sessantottino attraverso una cronaca americana che costituisce un altro tassello (o meglio, una delle summe) della “commedia umana” di Altman, il cui elemento portante è questa volta il trascinante sonoro. Adottando proprio la musica come filo conduttore dello svolgimento (animato da ben ventisette canzoni), il maestro dei film corali dipana con la nota abilità una narrazione aneddotica (popolata da ben ventiquattro personaggi) su un tessuto di pregnanti tematiche (dagli egoismi alle apparenze fino alla popolarità), trovando in tutto ciò nella pratica della performance una calzante espressione allegorica della fenomenologia dello spirito e del popolo statunitense: il Sogno Americano è diventato un incubo in questa società di nevrosi e malesseri di cui la città del Tennessee, capitale e incarnazione di un genere musicale appunto così rappresentativo proprio della cultura e della tradizione a stelle e strisce, diviene atipica sineddoche su palcoscenico di un pubblico-popolo totalmente anestetizzato dai meccanismi di un continuo e sfrenato spettacolo; a questo proposito, esemplare è il beffardo finale che nella sua amarissima ironia suggella il tutto rivendicando inoltre la succitata ambiguità di fondo: infatti, neanche un violento quanto insensato assassinio sconvolge granché un pubblico ormai assuefatto da uno show che appunto anzi prosegue non a caso proprio con la canzone “It Don’t Worry Me” (ovvero, letteralmente, “non me ne preoccupo”). Distribuito in Italia in versione originale con sottotitoli, su 5 importanti nomination agli Oscar (tra cui miglior film, regia, attore non protagonista a Ronee Blakley e attrice non protagonista a Lily Tomlin) vinse soltanto una statuetta per la miglior canzone, ovvero “I’m Easy” di Keith Carradine, premiata anche ai Golden Globe (dove il film concorreva invece con ben 11 candidature, record tuttora imbattuto). Nel 2006, con il bellissimo Radio America, il regista ne realizzò una sorta di “corrispettivo relativo”, anch’esso da non perdere.
Nashville | |
Nashville | |
Summary
id.; di ROBERT ALTMAN; con GERALDINE CHAPLIN, KAREN BLACK, KEITH CARRADINE, GWEN WELLES, ROBERT DOQUI, HENRY GIBSON, RONCE BLAKLEY, LILY TOMLIN, BARBARA HARRIS, JULIE CHRISTIE, SCOTT GLEEN, MICHAEL MURPHY, ROBERT DUVALL, JEFF GOLDBLUM, SHELLEY DUVALL; musical; USA, 1975; durata: 159’; |
%
Voto al film
|
0 (0 votes) | :