Alice Howland (Julianne Moore), felicemente sposata e madre di tre ragazzi, è una rinomata professoressa di linguistica che, improvvisamente, inizia a dimenticare le parole. Quando le diagnosticano una forma precoce di Alzheimer, Alice e la sua famiglia vedono messi a dura prova i loro rapporti. La sua battaglia per cercare di rimanere legata alla persona che era una volta è terribile, commovente e ammirevole.
Tratto dal best-seller “Perdersi” di Lisa Genova, è un film sull’Alzheimer diverso dagli altri: la novità risiede in un significativo ribaltamento di prospettiva, ovvero nel raccontare il dramma della malattia non attraverso il calvario dovuto alle ripercussioni della stessa anche su chi sta intorno, bensì dal più nebuloso punto di vista di chi invece ne è affetto; ovvero, in questo caso, la protagonista Alice, sulla quale la disgrazia si abbatte peraltro con la forma di un beffardo paradosso (un destino simile accanitosi su una donna che ha da sempre valutato se stessa proprio in base alle capacità intellettive e di articolazione linguistica). I progressivi stadi di questo sospeso rapporto con la realtà sono seguite con delicatezza e sensibilità dai registi e sceneggiatori Westmoreland e Gratzer (quest’ultimo peraltro affetto da Sla, diagnosticatagli con triste coincidenza poco prima dell’inizio delle riprese): optando per una messa in scena lineare e misurata, senza eccedere in pathos melodrammatico o scadere nel sentimentalismo ricattatorio, trasportano lo spettatore nella mente di Alice riuscendo a coglierne con tatto e finezza l’angoscia e il senso di disorientamento (da notare la resa del primo smarrimento mnemonico giocato sul fuori fuoco, con il mondo attorno a lei che si appanna divenendo non riconoscibile). Attraverso questa soggettività di un’esperienza prende così forma, tra promemoria su utensili elettronici e sguardi persi nel fuoco, una lotta contro il dolore che attraverso la terribile consapevolezza della fine coincide con il tentativo di rimanere se stessi: il fulcro del film è infatti la preservazione di una dignità umana che non può essere annientata, restando bensì sempiternamente viva e presente negli affetti e nella memoria di chi resta. Efficace veicolo per il talento della grande Julianne Moore (che per questo ruolo ha finalmente ottenuto il suo primo Oscar), davvero straordinaria in un’interpretazione magistrale di sentita partecipazione e dolente intensità; a supportarla, un funzionale Alec Baldwin ed una maturata Kristen Stewart di non trascurabile spessore.
Still Alice | |
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Summary
id.; di Richard Glatzer, Wash Westmoreland; con Julianne Moore, Alec Baldwin, Kristen Stewart, Kate Bosworth, Hunter Parrish, Shane McRae; drammatico, USA, 2014; durata: 101’. |
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