Per tracciare un ritratto intimo eppure denso e compatto di un personaggio sfaccettato quanto influente come Steve Jobs (già approdato al cinema nel 2013 con il volto di Ashton Kutcher nell’assai deludente film diretto da Joshua Michael Stern), il grande sceneggiatore Aaron Sorkin ha optato per quel meccanismo narrativo ad ellissi congegnato per mettere a fuoco la personalità di un soggetto realmente esistito attraverso pochi quanto cruciali episodi della sua esistenza.
Nell’adattare per lo schermo la massiccia biografia scritta da Walter Isaacson, l’ambizioso quanto acuto e brillante drammaturgo (Oscar per The Social Netwok) l’ha infatti condensata in un copione di ardita struttura teatrale, nettamente diviso in tre atti, ognuno dei quali corrispondente alla mezz’ora di backstage che precede la comparsa di Jobs ad altrettanti eventi in occasione del lancio dei più rappresentativi prodotti Apple: prima la presentazione del pionieristico Macintosh nel 1984, poi la parentesi in proprio con il NeXT Computer (1988) ed infine l’arrivo sul mercato dell’iMac nel 1998. Così privo di digressioni, cliché o note biografiche, il tutto assume quindi un tono quasi shakespeariano non solo nell’impianto, ma anche nella reinterpretazione della figura del protagonista, con il personaggio storico trasfigurato in simbolo ed ideale, come emblematico archetipo di passione ed al tempo stesso incarnazione di potenza ed ossessione. Ne è uscito un biopic non convenzionale, indifferente agli stilemi del genere di cui riesce abilmente ad evitare le trappole (specialmente la rappresentazione illustrativa o agiografica) e cadenzato dal brillante fraseggio sorkiniano di cui il regista Danny Boyle asseconda il ritmo serrato tallonando il protagonista nei corridoi e nei backstage dove, attraverso la continua interazione con i collaboratori, i concorrenti e i familiari, il versante pubblico e quello privato si intrecciano in una messa in scena di taglio impressionista davvero ammirevole per l’accortezza con cui sfrutta la componente visiva e sonora. Coadiuvata dall’ottima fotografia di Alwin H. Küchler, anche la brillante scelta estetica di adottare per ognuno dei tre segmenti un differente formato (il primo in uno sgranato 16mm, il secondo in un più pulito 35mm e il terzo in digitale, con la rivoluzionaria cinepresa Alexa) è volta a denotare non solo la progressiva quanto ambivalente evoluzione tecnologica nel corso degli anni, ma anche quella interiore del protagonista: non per niente, tra delirio egocentrico e analisi degli ambigui progressi del capitalismo, in questo dietro le quinte della rivoluzione digitale e nell’intimo ritratto del genio controverso che ne traspare spicca infatti l’appropriato tema (richiamato dai versi di “Both Sides, Now” di Joni Mitchell, anch’essa in tre tempi) di una riconciliazione tra passato e presente, con la coscienza di un rimorso profondamente umano (il rapporto conflittuale con la figlia) come significativo traguardo di un’esistenza divenuta asserzione proprio di un radicale progresso evolutivo. Ben supportato dall’ottima co-protagonista Kate Winslet (già premiata con un Golden Globe e candidata all’Oscar), gli dà l’acqua della vita un grande Michael Fassbender (anch’esso giustamente in corsa per un Academy Award), il quale, grazie alla tecnica recitativa e d’immedesimazione più che alla devozione mimetica, riesce infatti con sottile efficacia e trascinante carisma a far emergere la dolente componente umana di questo ambiguo ed egocentrico antieroe contemporaneo.
Steve Jobs | |
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Summary
id.; di Danny Boyle; con Michael Fassbender, Kate Winslet, Jeff Daniels, Seth Rogen, Katherine Waterston, Michael Stuhlbarg, Sarah Snook, John Ortiz; USA, 2015; durata: 122’. |
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