Concludendo una stagione di cinema e di premiazioni funestata dalla pandemia e perciò svoltasi in maniera decisamente atipica per tempi e modalità (privata di eventi o anteprime, più aperta allo streaming e prolungata di oltre due mesi), nel corso di una cerimonia di premiazione conformemente insolita (tenutasi in presenza ma adattata alle restrizioni) sono stati annunciati i vincitori della 93esima edizione dei premi Oscar.
E anche quest’anno, forse sulla scia dell’epocale svolta del precedente (quando, tra gli applausi, per la prima volta trionfò un film non anglofono, ovvero il capolavoro coreano Parasite) le scelte dell’Academy paiono confermare tale apprezzata tendenza a distanziarsi dalle convenzioni del mainstream hollywoodiano a favore di un cinema d’autore e di qualità più internazionale e inclusivo.
Infatti, come da pronostico, ad aggiudicarsi il premio più importante come miglior film è l’acclamato Nomadland, terzo lungometraggio di Chloé Zhao (filmmaker cinese già nota e affermata sulla scena indie statunitense), che conclude così in bellezza un percorso trionfale aperto dalla vittoria al festival di Venezia e proseguito imponendosi progressivamente nel circuito dei premi, aggiudicandosi infatti i maggiori riconoscimenti della stagione (dal Critics’ Choice al Producers Guild Award, fino al Golden Globe e al BAFTA).
Tratto dall’omonimo libro di Jessica Bruder e incentrato sul viaggio di Fern, vedova sessantenne in profonda crisi personale che decide di cambiare vita attraversando gli USA in furgone, il film conquista quindi una vittoria ampiamente prevista che si estende ad altre due statuette di rilievo per miglior regia e miglior attrice, assegnate rispettivamente alla succitata autrice (candidata anche come sceneggiatrice e montatrice) e alla grande Frances McDormand, le quali, nel ritirare anche il premio al miglior film (condiviso in qualità di co-produttrici), ottengono quindi un doppio riconoscimento che porta entrambe a segnare un multiplo record: infatti, se Zhao (terza asiatica a trionfare dopo il taiwanese Ang Lee e il sudcoreano Bong Joon-ho) diventa la seconda donna ad aggiudicarsi la statuetta per la regia (nonché la prima non bianca, in quanto preceduta appunto solo da Kathryn Bigelow, premiata nel 2010 per The Hurt Locker), McDormand è invece non solo la quarta persona (e la prima donna) a vincere per recitazione e produzione (divenendo l’unica a riuscirsi con lo stesso film), ma anche la settima (e quarta tra le donne) a conquistare un terzo Oscar come interprete (dopo le vittorie del 1997 e del 2018, rispettivamente per Fargo e Tre Manifesti a Ebbing, Missouri); un risultato da albo d’oro dell’Academy che, rendendola inoltre la seconda attrice a vantare una tripletta come protagonista (impresa riuscita in precedenza soltanto a Katharine Hepburn, la quale, con ben 4 vittorie, resta tuttora l’interprete più premiata in assoluto), la porta infatti ad eguagliare (per numero di riconoscimenti) e al tempo stesso superare (in termini di rilevanza degli stessi) altre due amatissime dive come Ingrid Bergman e Meryl Streep (entrambe a loro volta premiate con 3 statuette, una delle quali però, appunto, in veste di non protagoniste). In tutto ciò, se (come suddetto) i premi per miglior film e regia erano ormai da tempo ipotecati, Frances McDormand (già premiata per questo ruolo anche ai BAFTA) prevale invece in una competizione al contrario davvero serratissima, in quanto contraddistinta da un’inconsuetamente imprevedibile evoluzione nel corso della quale le cinque attrici candidate si sono spartite equamente i riconoscimenti che scandiscono la stagione dei premi, rendendo quindi assai arduo identificare con chiarezza una probabile favorita alla vittoria.
Così, con tale ristretto ma decisamente rilevante tris di trofei (su un totale di sei nomination), Nomadland vince anche in numeri in un anno in cui i restanti premi si sono distribuiti tra i titoli in competizione, sei dei quali seguono infatti a ruota con due vittorie ciascuno.
Tra questi figura anche il film che guidava la competizione in termini di candidature (ben 10 in totale), ovvero Mank di David Fincher (personale ricostruzione, in un avvolgente ed evocativo bianconero, della controversa genesi del capolavoro Quarto Potere), che oltre al prevedibile premio per le scenografie ottiene anche la statuetta per la migliore fotografia ad opera di Erik Messerschmidt, il quale (al suo esordio nel lungometraggio) soffia così l’Oscar al più quotato Joshua James Richards di Nomadland. Non sorprende invece la doppietta messa a segno dal cartoon Pixar Soul, che oltre al premio come miglior film d’animazione (assegnato al regista e co-produttore Pete Docter, il quale, dopo i precedenti trionfi per Up e Inside Out, stabilisce un nuovo record conquistando il terzo Oscar in questa categoria) si aggiudica anche la statuetta per la colonna sonora, portando nuovamente al trionfo (a esattamente un decennio dalla prima vittoria per The Social Network) i noti collaboratori Trent Reznor e Atticus Ross, i quali (candidati quest’anno anche per le musiche di Mank) condividono stavolta tale vittoria con il jazzista Jon Batiste.
E se non del tutto inatteso è anche il bis di riconoscimenti tecnici all’intenso Sound of Metal (targato Amazon Studios e distribuito globalmente da Prime Video), supera invece le aspettative il potente e civilmente impegnato Judas and the Black Messiah, che si impone appunto tra i vincitori ottenendo a sua volta due trofei: infatti, se il primo, oltre all’atteso premio per il sonoro (categoria che da questa edizione combina le due distinte cinquine pre-esistenti dedicate a missaggio ed editing del suono), si aggiudica anche quello più incerto e rilevante per il montaggio (surclassando così l’inizialmente favorito Il Processo ai Chicago 7), il secondo porta alla vittoria non solo (come pronosticato) l’ottimo Daniel Kaluuya (il quale, premiato come miglior attore non protagonista per il ruolo di Fred Hampton, diventa il primo inglese nero a vincere un Oscar come interprete), ma anche la ritmata “Fight for You”, che prevale infatti nell’apertissima gara per la statuetta alla miglior canzone; così, il ritmato brano eseguito da H.E.R. (anche co-autrice), batte a sorpresa non solo il quotato Leslie Odom, Jr. (candidato per Quella Notte a Miami… in doppia veste di cantautore e attore di supporto), ma anche l’italiana Laura Pausini, che grazie all’intensa “Io Sì (Seen)” (canzone portante del film La Vita Davanti a Sé, con protagonista Sophia Loren) concorreva al premio insieme a Diane Warren, la quale (alla sua dodicesima nomination ma incredibilmente mai premiata) non riesce quindi nemmeno stavolta ad aggiudicarsi la statuetta.
Sorte simile per Glenn Close, la quale, di nuovo in gara grazie alla sua trasformazione in energica nonna nel pur freddamente accolto Elegia Americana, vede sfumare anche quest’occasione di conquistare la statuetta: così, alla sua ottava candidatura a vuoto, la grande e amatissima attrice eguaglia il record di Peter O’Toole (a cui l’Academy assegnò tuttavia un premio alla carriera) per interprete con maggior numero di nomination senza alcuna vittoria; infatti, l’Academy ha preferito assegnare il premio come miglior attrice non protagonista alla molto apprezzata Youn You-jung, anch’essa curiosamente nei panni di nonna atipica nel bellissimo e coinvolgente Minari: già molto nota in patria, la lodata e navigata interprete diviene così la prima interprete coreana a ricevere la candidatura e a concretizzarla in statuetta (grazie a un ruolo recitato completamente nella sua lingua madre), nonché la terza asiatica ad aggiudicarsi un Oscar per la recitazione dopo la giapponese naturalizzata americana Miyoshi Umeki (premiata nel 1958 nella medesima categoria per Sayonara) e il cambogiano Haing S. Ngor (vincitore nel 1985 come miglior attore di supporto per Urla del Silenzio).
Ma la più grande sorpresa della serata (pur non del tutto imprevista, specie dopo l’analogo risultato ai BAFTA) è arrivata con il trionfo di Anthony Hopkins, che per la notevole interpretazione di padre disorientato in The Father di Florian Zeller riceve il suo secondo Oscar come miglior attore protagonista (a quasi un trentennio dalla prima vittoria per Il Silenzio degli Innocenti): infatti, con questo nuovo trionfo, che (all’età di 83 anni) lo rende il più anziano vincitore di un premio alla recitazione (record detenuto in precedenza da Christopher Plummer), il grande attore gallese soffia inaspettatamente la vittoria al prematuramente scomparso Chadwick Boseman, candidato postumo e ampiamente considerato il favorito alla vittoria per la sua ultima, eccellente interpretazione nel teatrale Ma Rainey’s Black Bottom; così, quest’ultimo film deve accontentarsi dei due (attesi) riconoscimenti tecnici per trucco e costumi (battendo quindi, in entrambe le categorie, l’italiano Pinocchio di Matteo Garrone), assegnati rispettivamente al team che include Mia Neal e Jamika Wilson (prime afroamericane candidate e premiate in questa categoria) e alla grande veterana Ann Roth, la quale (già premiata nel 1997 per Il Paziente Inglese) a 89 anni diventa la seconda più anziana ad aggiudicarsi un Oscar competitivo dopo James Ivory (più vecchio di soli tre mesi quando, nel 2018, trionfò in qualità di sceneggiatore per Chiamami col Tuo Nome).
E se il succitato film di Zeller (drammaturgo francese in trasferta oltremanica per questo suo debutto al cinema) ottiene a sua volta una seconda statuetta per la migliore sceneggiatura non originale (tratta dalla fortunata pièce omonima del regista, da lui stesso adattata per lo schermo insieme al britannico Christopher Hampton, già premiato nel 1989 nella stessa categoria per il celebre Le Relazioni Pericolose), ad aggiudicarsi la statuetta per il miglior script originale è un altro esordio alla regia molto ben accolto, ovvero Una Donna Promettente dell’inglese Emerald Fennell (già attiva come attrice e autrice TV): quest’ultima, già tra i protagonisti di questa edizione in quanto candidata (oltre che in veste di co-produttrice) anche come miglior regista (nell’anno in cui, per la prima volta nella storia degli Oscar, tale categoria include due donne), trova quindi un meritato spazio anche tra i vincitori, soffiando il premio per la scrittura ad un contendente noto e stimato come Aaron Sorkin, di nuovo in gara con il suo secondo film da regista Il Processo ai Chicago 7; così, pur piuttosto quotato anche in qualità di candidato di punta per Netflix (che lo ha prodotto e distribuito), quest’ultimo titolo rimane invece a mani vuote, non riuscendo a concretizzare in statuetta nessuna delle sue sei candidature (tra cui miglior film).
E se tra gli sconfitti figura anche il solido western contemplativo di Paul Greengrass Notizie dal Mondo (relegato a una competizione più ristretta con quattro nomination tecniche), la succitata piattaforma streaming (oltre ai premi per i succitati Mank e Ma Rainey’s Black Bottom) riesce tuttavia ad imporsi non solo in due categorie dedicate ai cortometraggi, ma anche nella più serrata corsa al premio per il miglior documentario, assegnato infatti al sudafricano Il Mio Amico in Fondo al Mare (che prevale sull’acclamato e molto quotato prodotto Amazon Time).
Ma tra i vincitori, oltre a Tenet di Christopher Nolan, a cui l’Academy riserva il premio per gli effetti visivi, spicca inoltre uno dei titoli più apprezzati dell’anno anche fuori dagli Stati Uniti (e non a caso già trionfatore agli European Film Awards), ovvero il danese Un Altro Giro di Thomas Vinterberg, che (forte anche di una rilevante seconda nomination a sorpresa per la miglior regia) si aggiudica come previsto la statuetta per miglior film internazionale, ritirata dall’autore, il cui toccante discorso di ringraziamento dedicato alla figlia prematuramente scomparsa ha commosso ed emozionato la platea e il pubblico.
Infine, da citare sono inoltre i due premi umanitari Jean Hersholt, assegnati quest’anno all’attore, autore, regista e produttore Tyler Perry (per la sua attività filantropica e l’impegno in diverse cause benefiche) e al Motion Picture & Television Fund (per il sostegno ai membri dell’industria dello spettacolo).
Tutto ciò nel corso di una serata che, al di là di tale responso, non ha mancato di suscitare critiche e contestazioni, relative specialmente all’impostazione dello show (co-prodotto quest’anno da Steven Soderbergh), di cui numerosi spettatori e commentatori, pur tenendo in considerazione l’impossibilità di seguire tradizionali tempistiche e modalità a causa della pandemia, ha lamentato il tono troppo sussiegoso e non abbastanza coinvolgente. E in effetti, benché svoltasi in presenza a Los Angeles (anche se dislocata in due location distinte, ovvero il Dolby Theatre e la Union Station, il tutto con pubblico contingentato e collegamenti da Londra e Parigi), la cerimonia non ha brillato per momenti vivaci, concentrandosi infatti in prevalenza sui premi e lasciato quindi decisamente poco spazio alle parentesi di intrattenimento: assenti infatti i monologhi o gli interventi degni di nota (tolta l’introduzione affidata a Regina King), come anche i numeri musicali o le esibizioni dal vivo (precedentemente registrate e mandate in onda nel pre-show), brevi o isolati gli sketch comici (uno dei quali salvato dal coinvolgimento di una divertita Glenn Close) e parsimonioso anche il ricorso a clip dei film candidati o agli usuali montaggi celebrativi (tra cui il tradizionale segmento “In Memoriam”, poco sentito e troppo velocizzato).
Così, nel ridurre drasticamente l’elemento spettacolare e limitandosi quindi ad una sequenza quasi ininterrotta di presentatori e annunci, l’evento è risultato appunto assai monocorde e poco entusiasmante, il tutto ulteriormente penalizzato da una scaletta decisamente insolita; infatti, assai contestata è stata anche la decisione di non chiudere la serata con il premio più importante per miglior film (consegnato infatti come terzultimo, diminuendone così discutibilmente l’impatto), bensì con la consegna delle statuette all’attrice e all’attore protagonisti: probabilmente un escamotage con cui, confidando nei pronostici, si auspicava di poter dedicare un ultimo omaggio al compianto Boseman, intuizione tuttavia rivelatasi tutt’altro che azzeccata quando ad essere annunciato come vincitore è stato invece Hopkins, peraltro assente alla cerimonia; pertanto, invece di spiccare come un momento di spettacolo da ricordare con emozione, il finale è risultato, al contrario, piuttosto goffo e confusionario, concludendo in maniera assai brusca e inattesa un’annata analogamente imprevedibile e del tutto inconsueta.
Di seguito, ecco quindi l’elenco completo dei vincitori di questa 93esima edizione dei premi Oscar (mentre per uno sguardo più dettagliato ai candidati, completo di approfondimenti e curiosità, potete invece tornare a QUESTO POST, dedicato appunto interamente alle nomination):
MIGLIOR FILM
Nomadland
(prodotto da Frances McDormand, Peter Spears, Mollye Asher, Dan Janvey, Chloé Zhao)
GLI ALTRI CANDIDATI:
- The Father – Nulla è come sembra (prodotto da David Parfitt, Jean-Louis Livi, Philippe Carcassonne)
- Judas and the Black Messiah (prodotto da Shaka King, Charles D. King, Ryan Coogler)
- Mank (prodotto da Ceán Chaffin, Eric Roth, Douglas Urbanski)
- Minari (prodotto da Christina Oh)
- Una Donna Promettente (prodotto da Ben Browning, Ashley Fox, Emerald Fennell, Josey McNamara)
- Sound of Metal (prodotto da Bert Hamelinck, Sacha Ben Harroche)
- Il Processo ai Chicago 7 (prodotto da Marc Platt, Stuart Besser)
MIGLIOR REGIA
Chloé Zhao, Nomadland
GLI ALTRI CANDIDATI:
- Thomas Vinterberg, Un Altro Giro
- David Fincher, Mank
- Lee Isaac Chung, Minari
- Emerald Fennell, Una Donna Promettente
MIGLIOR ATTRICE PROTAGONISTA
Frances McDormand, Nomadland
LE ALTRE CANDIDATE:
- Viola Davis, Ma Rainey’s Black Bottom
- Andra Day, The United States vs. Billie Holiday
- Vanessa Kirby, Pieces of a Woman
- Carey Mulligan, Una Donna Promettente
MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA
Anthony Hopkins, The Father
GLI ALTRI CANDIDATI:
- Riz Ahmed, Sound of Metal
- Chadwick Boseman, Ma Rainey’s Black Bottom
- Gary Oldman, Mank
- Steven Yeun, Minari
MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA
Youn Yuh-jung, Minari
LE ALTRE CANDIDATE:
- Maria Bakalova, Borat – Seguito di Film Cinema
- Glenn Close, Elegia Americana
- Olivia Colman, The Father – Nulla è come sembra
- Amanda Seyfried, Mank
MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA
Daniel Kaluuya, Judas and the Black Messiah
GLI ALTRI CANDIDATI:
- Sacha Baron Cohen, Il Processo ai Chicago 7
- Leslie Odom, Jr., Quella Notte a Miami…
- Paul Raci, Sound of Metal
- Lakeith Stanfield, Judas and the Black Messiah
SCENEGGIATURA ORIGINALE
Una Donna Promettente
(scritto da Emerald Fennell)
GLI ALTRI CANDIDATI:
- Judas and the Black Messiah (sceneggiatura: Will Berson, Shaka King; soggetto: Will Berson, Shaka King, Kenny Lucas, Keith Lucas)
- Minari (scritto da Lee Isaac Chung)
- Sound of Metal (sceneggiatura: Darius Marder, Abraham Marder; soggetto: Darius Marder, Derek Cianfrance)
- Il Processo ai Chicago 7 (scritto da Aaron Sorkin)
SCENEGGIATURA NON ORIGINALE
The Father – Nulla è come sembra
(sceneggiatura: Christopher Hampton, Florian Zeller)
GLI ALTRI CANDIDATI:
- Borat – Seguito di Film Cinema (sceneggiatura: Sacha Baron Cohen, Anthony Hines, Dan Swimer, Peter Baynham, Erica Rivinoja, Dan Mazer, Jena Friedman, Lee Kern; soggetto: Sacha Baron Cohen, Anthony Hines, Dan Swimer, Nina Pedrad)
- Nomadland (scritto per lo schermo da Chloé Zhao)
- Quella Notte a Miami… (sceneggiatura: Kemp Powers)
- La Tigre Bianca (scritto per lo schermo da Ramin Bahrani)
MIGLIOR FILM INTERNAZIONALE
Un Altro Giro
(Danimarca)
GLI ALTRI CANDIDATI:
- Better Days (Hong Kong)
- Collective (Romania)
- The Man Who Sold His Skin (Tunisia)
- Quo Vadis, Aida? (Bosnia ed Erzegovina)
MIGLIOR FILM D’ANIMAZIONE
Soul
(Pete Docter, Dana Murray)
GLI ALTRI CANDIDATI:
- Onward – Oltre la Magia (Dan Scanlon, Kori Rae)
- Over the Moon – Il Fantastico Mondo di Lunaria (Glen Keane, Gennie Rim, Peilin Chou)
- Shaun, Vita da pecora: Farmageddon – Il Film (Richard Phelan, Will Becher, Paul Kewley)
- Wolfwalkers – Il Popolo dei Lupi (Tomm Moore, Ross Stewart, Paul Young, Stéphan Roelants)
FOTOGRAFIA
Mank
(Erik Messerschmidt)
GLI ALTRI CANDIDATI:
- Judas and the Black Messiah (Sean Bobbitt)
- Notizie dal Mondo (Dariusz Wolski)
- Nomadland (Joshua James Richards)
- Il Processo ai Chicago 7 (Phedon Papamichael)
SCENOGRAFIA
Mank
(scenografie: Donald Graham Burt; arredamenti: Jan Pascale)
GLI ALTRI CANDIDATI:
- The Father – Nulla è come sembra (scenografie: Peter Francis; arredamenti: Cathy Featherstone)
- Ma Rainey’s Black Bottom (scenografie: Mark Ricker; arredamenti: Karen O’Hara, Diana Stoughton)
- Notizie dal Mondo (scenografie: David Crank; arredamenti: Elizabeth Keenan)
- Tenet (scenografie: Nathan Crowley; arredamenti: Kathy Lucas)
COSTUMI
Ma Rainey’s Black Bottom
(Ann Roth)
GLI ALTRI CANDIDATI:
- Emma. (Alexandra Byrne)
- Mank (Trish Summerville)
- Mulan (Bina Daigeler)
- Pinocchio (Massimo Cantini Parrini)
TRUCCO E ACCONCIATURE
Ma Rainey’s Black Bottom
(Sergio Lopez-Rivera, Mia Neal, Jamika Wilson)
GLI ALTRI CANDIDATI:
- Emma. (Marese Langan, Laura Allen, Claudia Stolze)
- Elegia Americana (Eryn Krueger Mekash, Matthew Mungle, Patricia Dehaney)
- Mank (Gigi Williams, Kimberley Spiteri, Colleen LaBaff)
- Pinocchio (Mark Coulier, Dalia Colli, Francesco Pegoretti)
MONTAGGIO
Sound of Metal
(Mikkel E. G. Nielsen)
GLI ALTRI CANDIDATI:
- The Father – Nulla è come sembra (Yorgos Lamprinos)
- Nomadland (Chloé Zhao)
- Una Donna Promettente (Frédéric Thoraval)
- Il Processo ai Chicago 7 (Alan Baumgarten)
COLONNA SONORA ORIGINALE
Soul
(Trent Reznor, Atticus Ross, Jon Batiste)
GLI ALTRI CANDIDATI:
- Da 5 Bloods – Come Fratelli (Terence Blanchard)
- Mank (Trent Reznor, Atticus Ross)
- Minari (Emile Mosseri)
- Notizie dal Mondo (James Newton Howard)
CANZONE ORIGINALE
“Fight for You”,
da Judas and the Black Messiah
(musica: H.E.R., Dernst Emile II; testo: H.E.R., Tiara Thomas)
GLI ALTRI CANDIDATI:
- “Hear My Voice”, da Il Processo ai Chicago 7 (musica: Daniel Pemberton; testo: Daniel Pemberton, Celeste Waite)
- “Husavik”, da Eurovision Song Contest – La storia dei Fire Saga (musica e testo: Savan Kotecha, Fat Max Gsus, Rickard Göransson)
- “Io Sì (Seen)”, da La Vita Davanti a Sé (musica: Diane Warren; testo: Diane Warren, Laura Pausini)
- “Speak Now”, da Quella Notte a Miami… (musica e testo: Leslie Odom, Jr., Sam Ashworth)
EFFETTI VISIVI
Tenet
(Andrew Jackson, David Lee, Andrew Lockley, Scott Fisher)
GLI ALTRI CANDIDATI:
- Love and Monsters (Matt Sloan, Genevieve Camilleri, Matt Everitt, Brian Cox)
- The Midnight Sky (Matthew Kasmir, Christopher Lawrence, Max Solomon, David Watkins)
- Mulan (Sean Faden, Anders Langlands, Seth Maury, Steve Ingram)
- L’Unico e Insuperabile Ivan (Nick Davis, Greg Fisher, Ben Jones, Santiago Colomo Martinez)
SONORO
Sound of Metal
(Nicolas Becker, Jaime Baksht, Michellee Couttolenc, Carlos Cortés, Phillip Bladh)
GLI ALTRI CANDIDATI:
- Greyhound – Il Nemico Invisibile (Warren Shaw, Michael Minkler, Beau Borders, David Wyman)
- Mank (Ren Klyce, Jeremy Molod, David Parker, Nathan Nance, Drew Kunin)
- Notizie dal Mondo (Oliver Tarney, Mike Prestwood Smith, William Miller, John Pritchett)
- Soul (Ren Klyce, Coya Elliott, David Parker)
MIGLIOR DOCUMENTARIO
Il Mio Amico in Fondo al Mare
(Pippa Ehrlich, James Reed, Craig Foster)
GLI ALTRI CANDIDATI:
- Collective (Alexander Nanau, Bianca Oana)
- Crip Camp: Disabilità Rivoluzionarie (Nicole Newnham, Jim LeBrecht, Sara Bolder)
- The Mole Agent (Maite Alberdi, Marcela Santibáñez)
- Time (Garrett Bradley, Lauren Domino, Kellen Quinn)
MIGLIOR CORTOMETRAGGIO
Due Estranei
(Travon Free, Martin Desmond Roe)
GLI ALTRI CANDIDATI:
- Feeling Through (Doug Roland, Susan Ruzenski)
- The Letter Room (Elvira Lind, Sofia Sondervan)
- The Present (Farah Nabulsi, Ossama Bawardi)
- White Eye (Tomer Shushan, Shira Hochman)
MIGLIOR CORTOMETRAGGIO D’ANIMAZIONE
Se succede qualcosa, vi voglio bene
(Will McCormack, Michael Govier)
GLI ALTRI CANDIDATI:
- La Tana (Madeline Sharafian, Michael Capbarat)
- Genius Loci (Adrien Mérigeau, Amaury Ovise)
- Opera (Erick Oh)
- Yes-People (Gísli Darri Halldórsson, Arnar Gunnarsson)
MIGLIOR CORTOMETRAGGIO DOCUMENTARIO
Colette
(Anthony Giacchino, Alice Doyard)
GLI ALTRI CANDIDATI:
- A Concerto is a Conversation (Ben Proudfoot, Kris Bowers)
- Do Not Split (Anders Hammer, Charlotte Cook)
- Hunger Ward (Skye Fitzgerald, Michael Scheuerman)
- A Love Song for Latasha (Sophia Nahli Allison, Janice Duncan)
PREMIO UMANITARIO JEAN HERSHOLT
- Tyler Perry
- Motion Picture & Television Fund