Alle origini dell’uomo, un misterioso monolito compare sulla Terra: la sua presenza attiva l’intelligenza delle scimmie antropoidi, che acquistano la facoltà di maneggiare le ossa come strumenti utili. Nell’anno 2001, sulla Luna, un gruppo di esploratori trova un monolito identico di origine antichissima che genera attorno a sé un forte campo magnetico, lanciando un segnale verso Giove. Diciotto mesi dopo, per portare avanti ricerche più approfondite sulla natura del misterioso oggetto, l’astronave Discovery si dirige quindi in direzione del pianeta: a bordo si trovano due astronauti, tre ricercatori ibernati e un computer di nuova generazione, Hal 9000, in grado di controllare le funzioni vitali dell’astronave.
Liberamente ispirato al racconto “La Sentinella” del grande autore di fantascienza britannico Arthur C. Clark (che collaborò con il regista alla stesura della sceneggiatura, pubblicando in seguito anche un libro dallo stesso titolo), è il film che rappresentò un fondamentale punto di svolta non solo per il genere, ridefinendo inoltre al contempo anche i canoni e i limiti del linguaggio cinematografico. Infatti, l’ambizioso e rivoluzionario intento, come dichiarato dallo stesso regista, è “rappresentare un’esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell’inconscio”, aprendo così alle più libere e disparate speculazioni sui significati filosofici e allegorici dell’opera. Suddiviso in quattro parti (“L’alba dell’uomo”, “TMA-1”, “Missione Giove” e “Giove e oltre l’infinito”), in tutto ciò “2001: Odissea nello Spazio” è una sorta di favola dai toni apocalittici sulle sorti dell’umanità in forma di indagine sul rapporto tra l’individuo e la tecnologia (evidente nella riflessione sulla macchina che si ribella all’uomo) e in relazione ad un’evoluzione che vede coincidere la nascita dell’intelligenza con quella della violenza, entrambe parti integranti della Storia umana. Snodato infatti con un ritmo quasi liturgico da ipnotico concerto audiovisivo, tale fitto tessuto tematico è reso su schermo con stupefacente inventiva attraverso una messa in scena in cui all’indiscutibile fascino sul piano visivo (dalla splendida fotografia di John Alcott e Geoffrey Unsworth fino all’efficacissimo montaggio a scarti di Ray Lovejoy), corrisponde a una conforme e notevole pregnanza anche a livello sonoro: scandito non a caso dal poema sinfonico “Così Parlo Zarathustra” (che diviene il tema portante), a sua volta ispirato all’opera di Nietzsche (richiamato in maniera più o meno palese anche nei riferimenti interni al concetto di Oltreuomo), la sua straordinaria densità di rimandi, sottotesti e riflessioni è veicolata da un visionario intreccio di suggestioni di diversa natura che, travolgendo lo spettatore, scaturiscono da una stratificata varietà di passaggi significativi o davvero memorabili; nella sua virtuosa alternanza tra scene ipnotiche ed avvolgenti (le memorabili “danze” delle navicelle e delle stazioni orbitanti sulle note del “Danubio Blu” di Strauss) e sequenze che sfiorano lo sperimentale (il viaggio interstellare della parte finale), al suo interno convivono infatti momenti di innegabile presa allusiva (dall’osso scagliato dalla scimmia che sfuma nell’immagine dell’astronave fino allo straordinario finale con il “Bambino delle Stelle”) e indimenticabili elementi iconici; tra questi, oltre all’inquietante e celeberrimo occhio rosso di Hal 9000, spicca naturalmente innanzitutto il misterioso monolite nero, anch’esso entrato nell’immaginario collettivo e la cui comparsa ricorrente dal criptico significato arcano riesce ancora oggi a generare dubbi, discussioni e teorie (da quella, sostenuta anche da Moravia, che lo identifica come un’allegoria divina a quelle che invece lo riconoscono come simbolo della sapienza o dell’evoluzione come cambiamento di status). In tutto ciò, sorretto da contributi tecnici di prim’ordine (e contraddistinto inoltre da un uso pionieristico degli effetti speciali), nella sua florida ed ermetica combinazione di sensazioni ed elucubrazioni questo immortale capolavoro di straordinaria potenza polifonica e precorritrice audacia stilistico-espressiva resta non solo uno dei più adulti, stimolanti e controversi film di fantascienza mai realizzati, ma anche una delle più intense, profonde e trascinanti esperienze cinematografiche di sempre. Non a caso puntualmente presente nei primi posti delle classifiche dei migliori film mai realizzati, su un totale di quattro candidature (tra cui miglior regia e sceneggiatura a Kubrick) il film ricevette incredibilmente un solo premio Oscar per gli effetti visivi (curati dallo stesso regista e supervisionati dal grande specialista Douglas Trumbull).
2001: Odissea nello Spazio | |
2001: Odissea nello Spazio | |
Summary
“2001: A Space Odyssey”; di STANLEY KUBRICK; con KEIR DULLEA, GARY LOCKWOOD, WILLIAM SYLVESTER, LEONARD ROSSITER, MARGARET TYZACK, FRANK MILLER, BILL WESTON, ROBERT BEATTY; fantascienza; G. B./ USA, 1968; durata: 160’; |
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