È scomparso a 77 anni il grande George A. Romero, regista di culto che con la sua mitica saga sugli zombie seppe rivoluzionare il cinema horror e influenzare una generazione di cineasti, dimostrandosi infatti precursore di un cinema dell’orrore che, pur proponendosi come puro intrattenimento, nascondeva in realtà un linguaggio politico e sociale di forte pregnanza.
Nato a New York nel 1940 da padre cubano e da madre di origini lituane, Romero mostra uno spiccato interesse per il cinema fin da giovanissimo: dopo essersi diplomato inizia a dirigere spot e cortometraggi, finché negli anni Sessanta, insieme ad un gruppo di amici, fonda la Image Ten Production con la quale nel 1968 produce il suo lungometraggio d’esordio grazie al quale fin da subito si impone nel panorama del cinema di genere, ovvero il mitico La Notte dei Morti Viventi: realizzato con pochi mezzi e in totale indipendenza, girato in bianco e nero ed interpretato da attori non protagonisti, il film è infatti un grande successo di pubblico e critica, tanto da divenire in breve tempo un vero e proprio cult; attraverso una trama da archetipo dell’orrore (un’orda di morti viventi che assedia una casa di campagna dove si è asserragliato un gruppo di malcapitati), la pellicola codificò infatti il cosiddetto sotto-genere dello “zombie movie”, fissando regole e convenzioni della moderna rappresentazione di tale creatura (ultimo grande mito del cinema horror, che qui diventa catalizzatore di pulsioni e inumanità, acquisendo così anche un significato socio-politico). I film successivi film di Romero (da La Stagione della Strega a La Città Verrà Distrutta all’Alba fino a Wampryr) non ebbero la stessa fortuna, ma il regista (da sempre anche sceneggiatore e montatore dei suoi incubi da schermo) ritrova il successo quando riportando al cinema i morti in Zombi, altra pellicola girata con un budget ristretto che però si rivelò un grande successo. Parlando di questo film e, in generale, del suo contributo al genere horror, l’autore dichiarò di essersi reso conto fin dagli inizi di come nelle sue opere la figura dello zombi potesse assumere, come suddetto, un importante significato metaforico: non a caso, se il capostipite può essere interpretato come allegoria sugli orrori della guerra del Vietnam e questo secondo successo appare invece una feroce critica al consumismo nell’era Reagan, allo stesso modo il successivo Il Giorno degli Zombi si dimostra leggibile anche come una personalissima analisi del conflitto tra scienza e tecnologia bellica, mentre nel più recente La Terra dei Morti Viventi in molti videro invece una cupa disamina dei conflitti di classe. Dopo l’apprezzato Creepshow, scritto da Stephen King (con cui Romero rende omaggio ai fumetti horror di cui è da sempre un grande appassionato), nel 1985 completa quindi la sua cosiddetta “Trilogia dei morti viventi” dirigendo appunto il pur meno acclamato Il Giorno degli Zombi. A questo film seguono poi Monkey Shines (basato su un libro di Michael Stewart), Due Occhi Diabolici (film a episodi tratto da Edgar Allan Poe e co-diretto con Dario Argento) e La Metà Oscura (adattamento dell’omonimo romanzo di Stephen King con protagonista Timothy Hutton, che però si rivela un flop). Romero torna alla regia solo dopo sette anni con Bruiser, che però non viene ben accolto da pubblico e critica. Nel 2005 torna quindi nuovamente agli zombi con il già citato La Terra dei Morti Viventi (interpretato, tra gli altri, da Simon Baker, Asia Argento e Dennis Hopper), a cui seguono Le Cronache dei Morti Viventi e infine Survival of the Dead, quest’ultimo presentato al festival di Venezia. George A. Romero è morto il 16 luglio dopo una breve battaglia contro un cancro.