Un grave lutto ha recentemente colpito il cinema italiano, che purtroppo ha infatti perso uno dei suoi grandi registi, ovvero il maestro Ermanno Olmi, scomparso all’età di 86 anni: premiato ai festival di Cannes e Venezia, pur costantemente distante dalle ragioni dell’industria si impose nel panorama del cinema post-neorealista per la sua rappresentazione quasi manzoniana della comune quotidianità del nostro Paese, ampliando in seguito i propri orizzonti esplorando toni e generi differenti con pregnanti e personali opere d’implicazione storica, letteraria o allegorica.
Nato a Bergamo nel 1931, dopo aver interrotto gli studi al liceo si trasferì a Milano per frequentare l’Accademia d’Arte Drammatica; nello stesso periodo, mentre lavorava come fattorino alla EdisonVolta, gli venne affidata una cinepresa per documentare l’attività della società. Sfruttando l’occasione per dimostrare la sua intraprendenza, si impegnò quindi nelle compagnie filodrammatiche e, sulla scia dell’ottimo riscontro ottenuto con uno spettacolo di varietà, convinse i dirigenti dell’azienda a creare una Sezione Cinema per la quale, nel corso degli anni Cinquanta, realizzò decine di documentari su commissione nei quali si possono già notare alcune caratteristiche che in seguito avrebbero contraddistinto il suo cinema: tra queste spiccano una particolare attenzione per la propria dimensione territoriale e l’interesse per l’umana umiltà, aspetti che contribuirono ad associare il suo cinema a quello di Pasolini, con il quale Olmi condivideva inoltre l’impegno su più fronti in molte delle sue pellicole, svolgendo spesso infatti anche le attività di operatore, montatore e direttore della fotografia (ruolo che dal 1992 affidò con ottimi risultati al figlio Fabio). Nel frattempo, con le stessa modalità, il regista (divenuto appunto ormai anche un ottimo operatore) girò un film a soggetto intitolato Il Tempo si è Fermato (imperniato sull’amicizia instauratasi nell’isolamento dell’inverno montano tra un giovane studente e il vecchio guardiano di una diga), con il quale nel 1958 debutta finalmente sul grande schermo. Nonostante il passaggio al cinema narrativo, non abbandonò mai il documentario, continuando infatti tale attività parallela per tutta la sua lunga carriera realizzando, tra corti e lungometraggi, un’altra una ventina di titoli per la televisione che spaziano in ambiti differenti (dall’inchiesta alla rievocazione, dal teatro filmato alla sperimentazione). Nel 1961 diresse invece Il Posto, girato in location con attori non professionisti (tra cui figura anche Loredana Detto, che in seguito diventerà sua moglie) e incentrato sulle vicissitudini di un ragazzo alle prese con il primo impiego: trovando una distribuzione internazionale grazie alla Titanus, il film fu accolto con reazioni entusiastiche, aggiudicandosi il premio della critica al festival di Venezia. Sull’onda di tale successo, nel 1961 Olmi fondò inoltre una società di produzione con lo scopo primario di lanciare giovani autori, con la quale furono realizzati film come Una Storia Milanese di Edoardo Visconti, I Basilischi di Lina Wertmüller e L’Età del Ferro, prima miniserie televisiva di Roberto Rossellini. Per la stessa società, Olmi girò in seguito I Fidanzati, film sulle vicende di un operaio milanese in trasferta a Siracusa nel quale riconferma il suo particolare interesse per il quotidiano e le cose semplici, ma anche per le preoccupazioni dei sentimenti. Nel 1965, sollecitato dal produttore Harry Saltzman, accetta invece di girare il suo primo film su commissione, ovvero E Venne un Uomo, partecipe rievocazione della vita di Giovanni XXIII con protagonista Rod Steiger nella quale, da fervente cattolico pur non allineato, il regista asseconda il proprio sentire religioso sempre però in forma terrena ed umana. Dopo alcuni lavori minori contraddistinti da una comunque non trascurabile attenzione alle psicologie dei personaggi, nel 1978 Olmi realizza quello che in molti considerano il suo massimo capolavoro, ovvero il celebrato L’Albero degli Zoccoli: con quest’opera, non a caso girata ed ambientata nella sua terra (dove in seguito tornò stabilmente, trasferendosi infatti ad Asiago), l’autore guarda alle sue radici raccontando la vicenda corale di alcune famiglie contadine sullo sfondo dei moti popolari del 1898, contesto rievocato tra pietas e spiritualismo un approccio poetico ma al tempo stesso realistico; interpretato da attori non professionisti e recitato in dialetto bergamasco, il film ottenne un inaspettato successo internazionale, aggiudicandosi la Palma d’Oro al festival di Cannes (alla quale si aggiunsero i trionfi in patria ai David di Donatello e ai Nastri d’Argento). Nel 1982, dopo aver fondato la scuola per aspiranti cineasti chiamata appunto Ipotesi Cinema, diresse invece Camminacammina, allegoria sulla leggenda dei Re Magi che però disorientò invece il pubblico. Successivamente fu costretto a sospendere la propria attività a causa di una grave malattia che lo colpì mentre stava per girare un film sulla sua adolescenza che infatti non poté infatti realizzare ma che trasformò in un libro dal titolo Ragazzo della Bovisa. Nel 1986 tornò al lavoro dirigendo Lunga Vita alla Signora!, commedia grottesca (in linea con le tematiche del succitato Il Posto) con la quale si aggiudicò il Leone d’Argento al festival di Venezia. Il Leone d’Oro arriva invece l’anno successivo con l’acclamato La Leggenda del Santo Bevitore (premiato anche con 4 David di Donatello), che su vari fronti si differenzia dai suoi lavori precedenti: concepito per il mercato internazionale, girato in inglese con attori professionisti (tra cui spicca il protagonista Rutger Hauer) e lontano dai paesaggi abituali (ai quali si sostituisce una Parigi quasi fiabesca), è infatti anche il suo primo lavoro basato su un soggetto preesistente, ovvero l’omonimo racconto di Joseph Roth (adattato per lo schermo dallo stesso regista insieme al critico e amico Tullio Kezich). Alcune di queste nuove caratteristiche si possono ritrovare anche nel successivo Il Segreto del Bosco Vecchio, tratto dal romanzo di Dino Buzzati e per il quale Olmi diresse invece Paolo Villaggio e tornò tra le montagne per portare sul grande schermo le situazioni magiche descritte nel celebre testo d’origine. Nel 1994 tornò invece in abito religioso prendendo parte all’ambizioso progetto internazionale Le Storie della Bibbia, ciclo di miniserie e film TV di cui diresse l’episodio Genesi: La Creazione e il Diluvio (interpretato da Omero Antonutti). Il ritorno al cinema avvenne nel 2001 con Il Mestiere delle Armi, acclamato film storico vincitore di 9 David di Donatello, in cui, nel rievocare gli ultimi giorni della vita del capitano di ventura Giovanni delle Bande Nere, l’autore traccia una dolorosa meditazione (tra spiritualità, onore, epica ed etica) sulla morte e la perdita di umanità legata alle evoluzioni della tecnica. Due anni più tardi si distinse per un’altra incursione allegorica in un passato remoto raccontando questa volta la Cina del XVII secolo (reinventata su un lago del Montenegro) in Cantando Dietro i Paraventi (stilizzato apologo fiabesco sulla guerra), mentre nel 2005 collaborò con Abbas Kiarostami e Ken Loach per dirigere un episodio del film collettivo Tickets. Del 2005 è invece la trasgressiva parabola cristologica Centochiodi (in cui il regista continua ad intercettare i bisogni morali dell’uomo, ponendo nuovamente l’accento sull’aspetto filosofico-religioso), annunciato come suo ultimo film narrativo; in realtà, dopo aver ricevuto nel 2008 il Leone d’Oro alla carriera al festival di Venezia, Olmi si ricredette, realizzando infatti prima Il Villaggio di Cartone (storia d’immigrazione con Michael Lonsdale nei panni di un anziano parroco accogliente) e poi il bellissimo Torneranno i Prati (ambientato nelle trincee dell’Altopiano di Asiago durante la Grande Guerra), che rimane il suo ultimo lavoro, assumendo anche il valore di rappresentativa opera-testamento. Recentemente proposto come senatore a vita e da qualche anno insignito della laurea honoris causa in Scienze Umane per la valorizzazione delle radici, della memoria, della storia e dell’esperienza quotidiana e delle piccole cose, Ermanno Olmi è morto il 5 maggio nell’ospedale della sua Asiago, dove da alcuni giorni si trovava ricoverato.