Durante un colpo a Marsiglia, il ladro e truffatore dal passato burrascoso Michel Poiccard (Jean-Paul Belmondo) ruba un’automobile e, inseguito dalla polizia stradale, uccide un agente per poi recarsi a Parigi, dove ritrova l’affascinante amica americana Patricia (Jean Seberg), per la quale prova ancora un profondo affetto: infatti, deciso di fuggire in Italia dopo aver scoperto di essere ricercato, Michel vorrebbe condurre la ragazza con sé, ma il loro rapporto si rivelerà ormai compromesso, portando a conseguenze inaspettate.
Sfolgorante esordio nel lungometraggio di Jean-Luc Godard (già critico dei Cahiers du Cinéma), da lui anche sceneggiato sulla base di un vecchio soggetto di François Truffaut (a sua volta ispirato a un fatto di cronaca), è una delle opere che più contribuirono al rinnovamento linguistico del cinema negli anni Sessanta, imponendosi come uno dei principali manifesti della nascente Nouvelle Vague. Infatti, applicando le innovative intuizioni già introdotte dai cosiddetti “giovani turchi” (ovvero i colleghi Resnais, Chabrol, Rivette, Rohmer e lo stesso Truffaut, che con le rispettive opere realizzate l’anno precedente avevano gettato le basi del movimento), con questo film l’autore inizia il suo percorso di sistematica sovversione della sintassi del cinema classico per sfidarne i canoni e la grammatica con audace e personale inventiva; perché, attraverso un gioco provocatorio di inusuali soluzioni stilistiche (tra sconnessioni, digressioni, interruzioni di continuità ed ellissi narrative, il tutto coadiuvato da un montaggio frammentario che raccorda lunghi piani-sequenza e inquadrature fuori asse, con sguardi in macchina e controcampi decentrati rispetto all’asse di visione), Godard orchestra una messa in scena suggestiva e straniante, in cerca di autenticità senza manipolazioni eppure elaborata e stratificata, adottando un approccio controcorrente che riflette inoltre l’alienante incomunicabilità distintiva dei personaggi: infatti, le continue contrapposizioni, estese allo sguardo cinefilo proiettato verso il futuro (superando codici e stilemi anche attraverso l’omaggio e la citazione, con atmosfere che rimandano ai vecchi polizieschi e Belmondo che si rifà a Bogart), sembrano rispecchiare l’incoerente itinerario dei protagonisti su cui si fonda l’esile trama di quello che diventa quindi una sorta di racconto di situazione la cui tensione emotiva scaturisce anche dal recupero della casualità dei tempi morti in funzione di una contraddittoria ambiguità che diventa così cifra espressiva dell’opera. In ciò, pur facendo capo innanzitutto alla componente formale, questo approccio anarcoide all’epoca tanto dibattuto (elogiato quanto criticato) si estende così su più fronti, rendendo l’opera un manifesto quasi ideologico che come tale diventa anche a suo modo politico, oltre che naturalmente cinematografico, confermandosi una scommessa rivoluzionaria anche a livello produttivo (il film fu girato a basso costo, in tempi assai ridotti e talvolta persino in modalità “guerrilla” tra Parigi e Marsiglia). Tra i membri del cast (guidato dai due calzanti e vibranti protagonisti Belmondo e Seberg), da notare è anche la presenza del regista Jean-Pierre Melville (molto ammirato da Godard) nei panni dello scrittore Parvulesco. Orso d’argento alla miglior regia al festival di Berlino.
Fino all'Ultimo Respiro | |
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Summary
"A Bout de Souffle"; di JEAN-LUC GODARD; con JEAN-PAUL BELMONDO, JEAN SEBERG, DANIEL BOULANGER, JACQUES HUET, RICHARD BALDUCCI, JEAN-PIERRE MELVILLE; drammatico; Francia, 1960; B/N; durata: 87'; |
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