È scomparso oggi a 92 anni il grande regista Francesco Rosi: tra i padri del cinema d’inchiesta, nei suoi film seppe unire neorealismo ed impegno civile con una tecnica rivoluzionaria, divenendo uno dei più lucidi, coerenti, brillanti e coraggiosi osservatori della nostra società, di cui seppe raccontare magistralmente i mali, i vizi e le contraddizioni con ammirevole integrità e assoluto rispetto della verità.
Nato a Napoli nel 1922, Rosi inizia la sua carriera nel 1946 come assistente di Ettore Giannini per l’allestimento teatrale di ‘O Voto di Salvatore Di Giacomo. Dopo alcune esperienze in teatro, si trasferisce a Roma, dove lavora come figurante e attore di rivista, mentre nel 1948 Luchino Visconti lo inserisce nella troupe de La Terra Trema. Nei primi anni Cinquanta è aiuto regista, tra gli altri, di Raffaello Matarazzo, Luciano Emmer e ancora di Visconti in Bellissima, di cui è anche co-sceneggiatore. Dopo aver partecipato alla stesura dello script di Processo alla Città di Luigi Zampa, nel 1952 è assistente di Goffredo Alessandrini in Camicie Rosse, mentre nel 1956 co-dirige insieme a Vittorio Gassman il film Kean – Genio e Sregolatezza. Nel 1958 esordisce finalmente nel lungometraggio con La Sfida, che ottiene un buon successo di pubblico e critica, quindi l’anno successivo dirige I Magliari con Alberto Sordi. Ma è con il capolavoro Salvatore Giuliano (1962) che il regista sconvolge le convenzioni del cinema di fiction con una tecnica innovativa a salti temporali, inaugurando con grande efficacia il filone del film d’inchiesta: nella sua analisi delle connessioni tra potere politico e mafioso nella Sicilia del dopoguerra, gli eventi passati diventano motivo di dibattito sulla storia contemporanea e sull’attuale contesto sociale. Per questo straordinario film arrivano quindi i primi riconoscimenti importanti, tra cui l’Orso d’Argento a Berlino e il Nastro d’Argento come miglior regista (ex-aequo con Nanni Loy). L’anno successivo Rosi dirige il suo secondo capolavoro, Le Mani sulla Città, con protagonista il grande Rod Steiger: mettendo in evidenza il degrado metropolitano di Napoli, il film denuncia le collusioni tra i diversi organi dello Stato con rara efficacia e grande coraggio. Il film vince il Leone d’Oro al Festival di Venezia.
Del 1965 è invece Il Momento della Verità, mentre nel 1967 Rosi si concede un’incursione in un genere più “leggero” dirigendo C’era una Volta… con Omar Sharif e Sophia Loren. Negli anni Settanta Rosi torna al cinema civile con Uomini Contro (denuncia dell’assurdità della guerra), a cui seguì Il Caso Mattei, film sullo scottante caso della morte di Enrico Mattei; in seguito, dopo aver diretto Gian Maria Volontè in Lucky Luciano (1973), riscuote un ottimo successo con Cadaveri Eccellenti (1976, tratto da un romanzo di Leonardo Sciascia), mentre nel 1979 porta al cinema il romanzo di Carlo Levi Cristo si è Fermato a Eboli (ancora con Volontè). Con Tre Fratelli (1981), interpretato da Philippe Noiret, Michele Placido e Vittorio Mezzogiorno, Rosi analizza tre generazioni legate alla terra degli avi, mentre nel 1984 dirige l’adattamento cinematografico in chiave realistica della Carmen, con Plácido Domingo; nel 1987 porta invece al cinema il celebre romanzo di Gabriel García Márquez Cronaca di una Morte Annunciata, con Ornella Muti, Irene Papas, Rupert Everett, Lucia Bosé e ancora Volontè. I suoi ultimi film sono Dimenticare Palermo (1990, con James Belushi, Vittorio Gassman e Philippe Noiret) e La Tregua (1997), tratto dal romanzo di Primo Levi. A coronamento di una carriera straordinaria (per i suoi film ricevette, tra i numerosi premi, anche 3 Nastri d’Argento e ben 10 David di Donatello), nel 2008 gli è stato conferito l’Orso d’Oro alla carriera al festival di Berlino, mentre nel 2012 riceve il Leone d’Oro alla carriera al festival di Cannes. “I miei film erano legati ad un discorso sul potere e sulla realtà sociale e storica dell’Italia”, affermava alcuni anni fa in un’intervista, “ma la mia preoccupazione era di coinvolgere lo spettatore, di farlo riflettere senza influenzarlo con tesi precostituite. Per questo i miei film hanno dei finali aperti che non danno soluzioni, ma focalizzano l’attenzione sui problemi e sulla realtà”.