1962. Sei anni dopo la celebrazione del suo matrimonio con il principe Ranieri di Monaco (Tim Roth), evento che la portò ad abbandonare la sua brillante carriera di attrice, la celebre star del cinema Grace Kelly (Nicole Kidman) si dibatte nel tentativo di conciliare passato e presente, il desiderio di tornare ad apparire sul grande schermo e il suo nuovo ruolo di moglie, madre di due bambini e regnante su un Principato europeo. Mentre riflette su un’offerta di Alfred Hitchcock (Roger Ashton-Griffiths), che le propone di tornare a lavorare ad Hollywood, Grace piomba in una fase di profonda crisi personale quando la modernizzazione del decadente Principato di Monaco voluta da Ranieri subisce un improvviso arresto per l’ingerenza del presidente francese Charles de Gaulle (André Penvern), che minaccia di imporre il sistema fiscale francese al Principato e di annettersi Monaco con l’uso della forza. L’esplosiva crisi internazionale che ne deriva e l’imminente invasione del Principato da parte della Francia rappresentano una minaccia non solo per la sua famiglia, il suo matrimonio e il suo Paese, ma anche per la vita privata di Grace. È quello il momento in cui l’icona del cinema, l’americana lontana da casa, dovrà prendere una decisione difficile: tornare alla sua vita di star del cinema, universalmente ammirata e adorata; o assumere a pieno il suo nuovo ruolo e adempiere ai doveri assunti nei confronti del marito, dei figli e del secondo più piccolo principato del mondo, che è ora la sua nuova patria.
Scritto dal gallese Arash Amel e reduce da una post-produzione lunga e travagliata (prolungatasi a causa di continui contrasti tra il regista e il mega-produttore Weinstein), è l’atteso film diretto dal francese Olivier Dahan che, non nuovo alle biografie, non riesce però a bissare il buon risultato del precedente “La Vie en Rose” (film sulla vita di Edith Piaf che valse l’Oscar a Marion Cotillard). Nonostante qualche isolato passaggio accattivante (il piano sequenza iniziale) e alcuni momenti di intensità (i primi piani sul triste viso della protagonista), “Grace di Monaco” resta infatti assai convenzionale e un po’ anemico nella scrittura stilistica, inserita in una cornice elegante e luminosa ma patinata e paludata (l’estetica da spot Chanel, le riprese da cartolina sulla Costa Azzurra, il fastoso reparto costumi), nonché sovrapposta ad una narrazione che nella sua pluralità di toni, sviluppata peraltro con un piglio classico ma inerte, diventa indecisione espositiva: concentrandosi principalmente sul conflitto interiore di una donna divisa tra la scelta di vivere da principessa e il desiderio di tornare a recitare (“La vera favola è credere che la mia vita sia una favola”) ed intrecciando le vicende private di Grace con quelle pubbliche del contesto storico-sociale, il film di Dahan risulta infatti costantemente incerto tra favola d’epoca (le lezioni di etichetta, il ballo della Croce Rossa), melodramma spinto (i contrasti coniugali), intrigo di corte (il complotto di Antonietta Grimaldi) e dramma politico (le tensioni tra Francia e Principato di Monaco connesse alla guerra d’Algeria); e se alla fine, dopotutto, è forse la prima a prevalere (non a caso la didascalia iniziale definisce il tutto come “finzione ispirata dalla realtà”), il film non riesce comunque a smarcarsi del tutto dalle trappole della retorica e dagli stilemi del biopic, incappando nell’aneddotica cronachistica e nello schematismo didascalico anche nel ritratto della protagonista: pur rispettoso e cosciente della coesistenza di luci ed ombre in un personaggio complesso e affascinante, lo sguardo edificante con cui Grace è inquadrata sfocia a tratti nell’agiografia, riuscendo peraltro solo in parte a far intuire sullo schermo quell’aurea di seduzione e suggestione che, argutamente e maliziosamente, portò Hitchcock a definire l’attrice “ghiaccio bollente”. Ad incarnarla una Nicole Kidman un po’ irrigidita ma sempre intensa, che riesce in parte a riscattare il personaggio con un’interpretazione accademica, attenta alla mimica, forse un po’ stucchevole ma non priva di vibrazioni. Tra i comprimari, Tim Roth appare sorprendentemente sottotono e monocorde nei panni poco calzanti di Ranieri, come anche Frank Langella in quelli di Padre Francis Tucker (consigliere e amico di Grace), mentre per quanto riguarda le figure di contorno la sceneggiatura non riesce a ridare nuova vita a celebri personaggi dell’epoca (non solo Hitchcock, ma anche De Gaulle, la Callas e Onassis), riducendoli a caricature, statuine o comparse. Presentato come film d’apertura (fuori concorso) al festival di Cannes dove, accompagnato dalle polemiche della famiglia Grimaldi (che ha disertato l’anteprima), è stato accolto piuttosto freddamente.
Grace di Monaco | |
Grace di Monaco | |
Summary
“Grace of Monaco”; di Olivier Dahan; con Nicole Kidman, Tim Roth, Milo Ventimiglia, Frank Langella, Parker Posey, Paz Vega, Derek Jacobi, Geraldine Somerville, Roger Ashton-Griffiths; biografico; USA/ Belgio/ Italia/ Francia, 2014; durata: 103’. |
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