Grandi Speranze

Nell’Inghilterra vittoriana, il giovane orfano Pip (Jeremy Irvine) riesce a guadagnarsi una posizione sociale grazie all’aiuto di un misterioso benefattore. Innamorato fin da bambino della viziata Estella (Holliday Grainger), il ragazzo tenterà di conquistarne l’amore, ma nel frattempo la scoperta delle origini della sua fortuna porterà a rivelazioni del tutto inaspettate.

Dall’immortale romanzo (1860-61) di Dickens sono stati tratti diversi sceneggiati televisivi e una mezza dozzina di film, tra cui quello piuttosto celebre del ’46 diretto da David Lean (il migliore) e l’ultimo del ’98, rivisitato in chiave moderna (e decisamente meno incisiva) dal messicano Alfonso Cuaròn. Nell’affrontare nuovamente un classico di tale portata, quest’ultima versione diretta da Mike Newell e sceneggiata da David Nicholls resta fedele al testo d’origine (escludendo il finale edulcorato), evitando velleitarie aspirazioni di rivisitazione e concentrando il ritmo della narrazione su temi e personaggi (la centrale storia di formazione, la critica al classismo sociale), il tutto evidenziandone in maniera più marcata l’evocativa dimensione gotica. Ma d’altra parte, dentro la confezione di tutto rispetto, completa di un’attenta ricostruzione (fotografia di John Mathieson, scene di Jim Clay, costumi di Beatrix Aruna Pasztor), il tono reverenziale è però ingabbiato in uno stile piuttosto convenzionale e senza guizzi che, specie nella seconda parte, rischia di risultare accademico e illustrativo, perdendo di vista il respiro e lo spirito della vicenda. In tutto ciò, spicca inoltre un ulteriore e non trascurabile limite che si ripercuite sul coinvolgimento: infatti, pur circondata da comprimari di livello come Fiennes (torvo Magwitch), Flemying (azzeccato Joe Gargery) e Bonham Carter (cupa Miss Havisham in versione horror), la coppia di giovani protagonisti risulta troppo fredda, quasi scialba e quindi non abbastanza trascinante.