1962. Spinto dalla necessità di trovare un impiego per mantenere la sua famiglia dopo la chiusura del club di New York dove precedentemente prestava servizio come buttafuori, il rozzo italoamericano Tony Lip (Viggo Mortensen) decide pur con riluttanza di lavorare per il pianista afroamericano Don Shirley (Mahershala Ali), accompagnandolo come suo autista e bodyguard in un tour nel sud degli Stati Uniti. Nel corso del viaggio, nonostante gli iniziali contrasti, tra i due si instaurerà progressivamente una stretta amicizia.
Al suo primo film per il cinema realizzato senza alcun coinvolgimento da parte del fratello Bobby, insieme al quale (dopo l’esordio firmato in solitaria ma scritto con la sua collaborazione) diresse la schiera di scanzonate commedie che li condusse al successo, il regista Peter Farrelly si discosta ora dal tono scorretto o demenziale che caratterizzava tali opere per portare invece questa volta sullo schermo una storia di buoni sentimenti basata su fatti realmente accaduti. Infatti, co-prodotto e co-sceneggiato (insieme a Brian Hayes Currie e allo stesso Farrelly) da Nick Vallelonga, figlio maggiore del vero Tony Lip, il film rievoca l’incontro tra quest’ultimo e il musicista Shirley in un racconto di viaggio tra lacrime e sorrisi attraversato da un discorso purtroppo ancora attuale sulla difficile condizione delle minoranze negli Stati Uniti. Ne è uscita una dolce-amara variazione del classico topos dell’amicizia tra caratteri solo apparentemente agli antipodi che, nel far emergere la tematica dell’integrazione puntando su un ribaltamento di prospettiva piuttosto atipico anche se non così inusuale per la realtà dell’epoca, può far pensare ad una sorta di A Spasso con Daisy a ruoli invertiti: perché in questo caso a condurre uno stile di vita piccolo-borghese è il bianco Tony mentre il nero Don è colto e benestante, eppure dei servizi migliori può usufruire solo il primo, che tenta nel frattempo di indottrinare il secondo su miti ed usanze della cultura black; un cortocircuito da cui, nel far da motore al tono in bilico tra dramma e commedia fondato sui vivaci scambi tra i due protagonisti, scaturisce inoltre al contempo il conflitto interiore del musicista (che si sente “troppo bianco per i neri e troppo nero per i bianchi”), centrale e delicato risvolto che, così sviluppato, ha però suscitato in patria reazioni discordanti: accusato infatti da una parte di piaggeria buonista e dall’altra di rilanciare stereotipi forzando il percorso di redenzione di Frank e sbilanciando il punto di vista attraverso un ritratto di Shirley ritenuto inesatto dai suoi discendenti, il film appare in effetti efficace nel racconto anche se a tratti ingenuo nell’esposizione dei messaggi, attento alla ricostruzione ma non privo di libertà nella rievocazione dei fatti, non troppo ricattatorio eppure non esente da furbizie (come dimostra la concessione al natalizio sentimentalismo nel finale); un approccio con il quale, anche in tali contraddizioni, Green Book (titolo ripreso da quello di una guida turistica che all’epoca illustrava ai neri un itinerario da seguire per viaggiare senza incappare in situazioni rischiose) resta tuttavia in linea con i canoni e la retorica hollywoodiani, puntando su una messa in scena di tradizionale e collaudata immediatezza votata a garantire un mirato quanto sicuro coinvolgimento; ed effettivamente, pur non brillando appunto per particolari sottigliezze o guizzi stilistici, il succitato alleggerimento della materia edificante in chiave di buddy-movie on the road scorre tuttavia in maniera fluida e piuttosto godibile: infatti, mettendo in pratica la rodata esperienza nella commedia, in tutto ciò il regista dimostra comunque una certa abilità nel combinare con disinvoltura una confacente scioltezza di ritmo e una funzionale direzione dei due interpreti principali, facendo leva sulla riuscita compenetrazione tra la performance sopra le righe del bravo anche se un po’ gigione Mortensen e quella di controllata sensibilità dell’ottimo Ali, nuovamente premiato dall’Academy come miglior attore non protagonista. Non a caso, fin dall’anteprima (con premio) al festival di Toronto, la pellicola ha incontrato non solo il riscontro del pubblico, ma anche dell’industria hollywoodiana che (dimostrandosi di nuovo più o meno discutibilmente fedele alla sua tradizione) l’ha addirittura portato a trionfare non solo ai Golden Globe, ma appunto anche agli Oscar, dove infatti ha ricevuto altri due importanti riconoscimenti per migliore sceneggiatura originale e miglior film.
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Summary
id.; di Peter Farrelly; con Viggo Mortensen, Mahershala Ali, Linda Cardellini, Don Stark, Mike Hatton, Dimiter D. Marinov, Iqbal Theba, Sebastian Maniscalco, P.J. Byrne, Don Stark; USA, 2018; durata: 130’. |
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