Ventidue anni dopo gli eventi di Jurassic Park, ad Isla Nublar si è sviluppato il progetto di John Hammond: dopo la morte di quest’ultimo, la Masrani Global ha infatti acquisito la InGen, rendendo quindi possibile la costruzione di un nuovo parco di dinosauri perfettamente funzionante. Dopo qualche anno di intensa attività, il numero di turisti in visita al Jurassic World inizia però a calare; così, per attirare nuovamente l’attenzione del pubblico, la responsabile delle operazioni del parco Claire Dearing (Bryce Dallas Howard) e il genetista Henry Wu (B.D. Wong) decidono di combinare i DNA di diverse specie per creare il primo ibrido geneticamente modificato, a cui viene dato il nome di Indominus Rex. Ma poco prima dell’inaugurazione della nuova attrazione, il nuovo esemplare sfugge al controllo dei gestori del parco, divenendo una minaccia letale per i numerosi visitatori: tra questi, anche i due giovani nipoti di Claire, Zach (Nick Robinson) e Gary (Ty Simpkins), ben presto travolti dal caos generale e quindi in seguito dispersi sull’isola. A tentare di salvarli, cercando nel frattempo di fermare la furia dell’Indominus Rex, sarà il possente Owen Grady (Chris Pratt), ex miliare che lavora nel parco per svolgere ricerche comportamentali sui comportamenti dei velociraptor.
A 12 anni dal fiacco terzo capitolo della serie e a 22 dal successo planetario del celeberrimo capostipite (3 premi Oscar, quasi un miliardo di dollari d’incasso e due sequel non proprio esaltanti), si torna per la quarta volta al parco dei dinosauri nato dalla penna di Michael Crichton e portato originariamente al cinema da Steven Spielberg (che qui, come per lo scorso episodio, figura in veste di produttore esecutivo). Ignorando i due succitati seguiti e ricollegandosi direttamente al primo film, per questo nuovo episodio lo spunto di partenza riflette l’idea alla base dell’operazione: come la corporazione che gestisce il parco decide di rinforzare l’attrazione in seguito ad un calo d’affluenza dei visitatori, allo stesso modo il team produttivo pilotato da Spielberg tenta di rilanciare il franchise dopo la delusione suscitata dal terzo episodio; infatti, dentro il parco come davanti allo schermo il pubblico appare ormai decisamente smaliziato alla vista dei dinosauri, e la trovata per ravvivare l’interesse è quindi quella di inventarsi un nuovo esemplare da porre al centro di un film che in un certo qual modo gli somiglia: il risultato è infatti un possente e rumoroso ibrido tra vecchio e nuovo, di discreto impatto visivo, frenetico e assai scaltro anche se non abbastanza da misurarsi con i vecchi precursori (non a caso ben presto rievocati). Perché nonostante la riproposizione in contesto aggiornato di un materiale così radicato nell’immaginario collettivo renda per molti versi superficiale il paragone con il prototipo, questo nuovo capitolo della saga pare comunque volerne ricalcare costantemente alcuni elementi essenziali, trovando in tale gioco di rimandi interni una propria identità evocativa che, seppur piuttosto piacevole nella sua svagata ed innocente leggerezza, è però anche il suo limite. Infatti, se da una parte questo continuo e palese richiamo ad elementi chiave dell’originale riesce nell’intento di generare una gustosa ambientazione nostalgica con tanto di affettuoso omaggio al primo film, di cui peraltro si rimarca l’imbattibilità con riverente consapevolezza (non a caso ad insidiare il temibile Indominus Rex sono proprio i cari vecchi mostri), dall’altra tale patina dal sapore vintage rischia di rendere lo svolgimento assai poco originale, nonché spesso decisamente prevedibile; a questo proposito, più che alla decorosa messa in scena di Trevorrow (regista di servizio che dirige con discreto dinamismo e senza particolari pretese), ciò è da imputare soprattutto alla grossolana ingenuità di una sceneggiatura a sei mani ridotta a fiacco canovaccio di luoghi comuni e situazioni convenzionali, dialoghi banali e personaggi dalla caratterizzazione solo abbozzata, il tutto comunque in parte riscattato da una piuttosto rodata efficenza spettacolare, sostenuta dagli ovviamente efficaci effetti speciali, ma anche dall’azzeccata colonna musicale di Michael Giacchino (con innesti dal tema originale di John Williams). Pur con una tecnica priva di quel fascino “artigianale” del prototipo (a cui si sostituiscono CGI e motion capture), specialmente nella seconda parte le sequenze d’azione possono infatti divertire e coinvolgere per tono spigliato e ritmo incalzante, anche se purtroppo sotto tale superficie da blockbuster collaudato si affievolisce radicalmente quell’originale sottotesto di implicazioni etiche (presente anche nel secondo capitolo) che si interrogava sul controllo del progresso tecnologico, criticando i rischi dell’ingegneria genetica e la connessa speculazione capitalistica. Tra i membri di un cast quasi totalmente rinnovato (tranne B.D. Wong, che ritorna nel ruolo del dottor Wu), accanto ad una Bryce Dallas Howard un po’ fuori parte spicca il neo-divo in ascesa Chris Pratt (ormai promosso da caratterista a protagonista), mentre alcuni comprimari di livello risultano sacrificati in ruoli marginali e senza spessore (come nel caso di Vincent D’Onofrio) o smarriti per strada dallo script troppo sbrigativo (come accade invece al personaggio di Omar Sy). Ovviamente il pubblico ha risposto bene, portando il film a superare il record di 500 milioni di dollari d’incasso nel primo weekend di programmazione.
Jurassic World | |
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Summary
id.; di Colin Trevorrow; con Chris Pratt, Bryce Dallas Howard, Vincent D’Onofrio, Nick Robinson, Ty Simpkins, Jake Johnson, B.D. Wong, Irrfan Khan, Omar Sy, Judy Greer, Lauren Lapkus, Brian Tee, Katie McGrath; USA, 2015; durata: 124’. |
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