La Mia Vita è uno Zoo

Vedovo da poco e con due figli a carico, il giornalista Benjamin Mee (Matt Damon) decide di combattere il dolore ripartendo da zero: lascia così il lavoro e la casa, deciso a trasferirsi con i ragazzi in una grande magione in campagna. Ma presto viene a sapere che il nuovo alloggio comprende uno zoo in disuso, completo di animali e di custodi, che necessita un padrone e una ristrutturazione, pena la chiusura. Inizialmente riluttante all’idea di imbarcarsi nell’impresa, in seguito Benjamin comincia a vedere l’opportunità come un’occasione per rilanciare la sua vita; così, nonostante la poca esperienza, il poco tempo e il poco denaro, decide di imbarcarsi nell’avventura.

Inatteso (anche se non così drastico) cambio di registro per Cameron Crowe (Oscar per lo script del delizioso “Quasi Famosi”), che a sei anni di distanza dal flop di “Elizabethtown” si affida ad una sceneggiatura pre-esistente (la fonte è il romanzo autobiografico di B. Mee, adattato da Aline Brosh McKenna che ne ha trasferito l’azione dall’Inghilterra agli States), per un risultato che però non è dei migliori: nonostante lo spunto dolorosamente drammatico (l’elaborazione del lutto è il tema portante) con intenti edificanti alla Frank Capra, è una prevedibile favola animalista per famiglie con happy end un po’ telefonato, il tutto risolto con un piglio sentimentalista così stucchevole e melenso da ricordare piuttosto i minori prodotti Disney. Immerso nella lucente fotografia di Rodrigo Prieto, il suo diabetico tasso di zucchero potrebbe risultare quasi indigesto se non fosse parzialmente mitigato da un gruppo di interpreti di livello (sempre convincente il protagonista Damon, appoggiato dal caratterista Haden Church ma anche da un’inedita Johansson acqua e sapone) e da una colonna sonora di tutto rispetto (affidata questa volta al talento di Jònsi, leader dei Sigur Ros), come sempre tra i maggiori punti di forza nel cinema del “musicologo” Crowe.