È scomparso a 106 anni il grande Maestro Manoel de Oliveira, regista tra i più longevi e prestigiosi in Europa, nonché massimo rappresentante del cinema portoghese.
Nato a Porto il 12 dicembre 1908 (un’incredibile longevità anagrafica ed artistica) e proveniente da una famiglia di industriali, abbandona presto gli studi, iniziati in un collegio di Gesuiti, per dedicarsi al cinema. Dopo aver recitato in un paio di pellicole (pur continuando nel frattempo a dedicarsi all’azienda di famiglia), dal 1931 al 1941 realizza sei brevi documentari, di cui il primo (il suggestivo Duoro) dedicato al lavoro portuale. Nel 1942 esordisce invece nel lungometraggio con Aniki Bóbó, film d’impronta quasi neorealista sull’infanzia disillusa con protagonisti alcuni ragazzini di strada. In seguito, la sua attività di regista giunge ad una fase di arresto, finché nella metà degli Anni Cinquanta torna al documentario, dirigendo prima il cortometraggio Il Pittore e la Città (1956) e poi il lungometraggio Il Pane (1959), in cui il regista riesce ad unire la sua attitudine di documentarista con quella tendenza all’apologo tra realismo e allegoria che il regista dimostrerà anche in seguito nelle sue opere di fiction; ciò risulta evidente già dai film successivi, specie nel bellissimo lungometraggio Atto di Primavera (1963), film sulla tradizione della fede espressa attraverso la rappresentazione della Passione di Cristo in un villaggio contadino. In seguito, nonostante gli omaggi tributatigli in varie occasioni e in prestigiosi festival internazionali, segue un nuovo, lunghissimo periodo di inattività; de Oliveira torna infatti a dirigere solo nel 1972, ottenendo finalmente il suo primo successo internazionale con il film Il Passato e il Presente: spietata rappresentazione della borghesia di impianto teatrale, il film è anche il primo capitolo di un’ideale tetralogia degli “amori frustrati” composta dai successivi Benilde o la Vergine Madre (1975, tratto da una pièce di J. Regio), Amore di Perdizione (1978, basato sul romanzo di C. Castelo Branco) e il capolavoro Francisca (1981), tratto dal romanzo di Augustina Bessa-Luís; quest’ultimo film (un’enigmatico ma lucido apologo sulla vita e sull’amore beffardo) contribuì a consacrare definitivamente de Oliveira come uno dei più importanti autori del panorama cinematografico europeo, confermando quella raffinata densità dello sguardo e quella grande efficacia del linguaggio già dimostrate nelle opere precedenti. Negli anni Ottanta è la volta di una trilogia dedicata alla dialettica tra il teatro e il cinema, composta da Le Soulier de Satin (1985), Mon Cas (1986) e I Cannibali (1988, forse il suo film più buñueliano); nel frattempo, nel 1985 riceve anche un Leone speciale alla mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Nel decennio successivo l’autore diviene più prolifico e costante, tornando di nuovo a sorprendere per la sua sempre viva originalità intellettuale connessa ad una continua ricerca stilistica: di questa florida e sfolgorante fase della sua carriera fanno parte No, o La Folle Gloria del Comando (1990, allegoria politica sulla storia portoghese), La Divina Commedia (1991, premio speciale della giuria al festival di Venezia), Giorno della Disperazione (1992), La Valle del Peccato (1993, ispirato a Flaubert), I Misteri del Convento (1995, interpretato da Catherine Deneuve e John Malkovich), Party (1996, con protagonisti Irene Papas e Michel Piccoli), Viaggio all’inizio del Mondo (1997, con Marcello Mastroianni nei panni dell’alter ego del regista), Inquietudine (1998, trittico di storie tra teatro ed ambiente borghese) e La Lettera (1999, ispirato a “La Princesse de Cléve” di Madame de La Fayette ed insignito a Cannes del premio della giuria). In seguito, negli anni Duemila, de Oliveira continua il suo validissimo itinerario filmico con opere sempre degne di nota; dopo Parole e Utopia (2000, imperniato sulla figura di un libertario predicatore gesuita del Seicento), l’autore realizza infatti il bellissimo Ritorno a Casa (2001), in cui dirige nuovamente Piccoli e la Deneuve: ha 92 anni, ed è il suo primo film sulla vecchiaia, tema importante affrontato con tatto e con quella sottile ironia spesso dimostrata anche nelle opere precedenti. Del 2002 è invece Il Principio dell’Incertezza, suo quarto adattamento di un romanzo della compatriota Agustina Bessa-Luis (trasposto sullo schermo come un nuovo capitolo della sua commedia umana sugli intrecci amorosi), a cui l’anno successivo segue lo splendido Un Film Parlato, apologo pessimista ma aperto alla tolleranza sul destino della civiltà europea e sulla fine dell’Occidente. Nel 2004, con Il Quinto Impero (tratto da un dramma di José Régio) l’autore continua il suo “cinema di parola”, ricevendo nello stesso anno il Leone d’Oro alla carriera al Festival di Venezia. Nel 2005 (a 98 anni) dirige Specchio Magico (ancora con Piccoli), tratto dal secondo romanzo della trilogia romanzesca di A. Bessa-Luís, di cui il regista aveva già trasposto il primo capitolo con Il Principio dell’Incertezza. Del 2006 è invece Belle Toujours – Bella Sempre, una sorta di atipico sequel del capolavoro di Luis Buñuel Bella di Giorno (1967): da quest’ultimo film recupera infatti il personaggio di Michel Piccoli (che torna ad interpretarlo dopo quasi quarant’anni), promuovendolo a protagonista e affiancandogli Bulle Ogier, attrice amata da Rivette a cui invece affida il ruolo che fu di Catherine Deneuve. Ormai quasi centenario, nel 2007 l’autore dirige invece Cristoforo Colombo – L’Enigma (un’attenta lezione storica sulla figura del navigatore), mentre nel 2008 gli viene assegnata la Palma d’Oro alla carriera al festival di Cannes. In seguito, de Oliveira torna nuovamente alla regia con Singolarità di una Ragazza Bionda (2009), O Estranho Caso de Angelica (2010). Il suo ultimo film rimane il teatrale Gebo e l’Ombra (2012), anche se il grande Maestro portoghese non aveva intenzione di fermarsi: dal 2014 stava infatti già lavorando a quello che sarebbe dovuto essere il suo film successivo. Creatore di un universo filmico ricco di rimandi letterari, richiami alla storia e legami alla tradizione lusitana, de Oliveira resta uno dei più grandi esponenti del cinema portoghese, capace di esplorare l’animo umano con una consapevole naturalezza e una raffinata profondità priva di retorica, senza escludere una vena sempre presente di sottile ironia: un grande Maestro del cinema internazionale, che seppe unire una costante ricerca linguistica ad una personale riflessione su importanti temi universali, il tutto riuscendo magistralmente ad esprimere, attraverso metafore teatrali, incursioni filosofiche e dialoghi pregni di significato, la complessa essenza e la sfaccettata ambiguità della dicotomia tra cinema e teatro, e tra vita ed arte.