Già durante la sua cerimonia di matrimonio, la giovane Justine (Kirsten Dunst) comincia a dare i segni di un profondo stato di depressione, che col tempo finisce per logorarla sempre più. Quando però, tempo dopo, si apprende che un misterioso pianeta soprannominato “Melancholia” è in rotta di collisione con la Terra, mentre sua sorella Claire (Charlotte Gainsbourg) pare a dir poco spaventata dal disastroso evento che potrebbe cancellare l’umanità, Justine pare invece accettare la cosa con un’inusuale e tranquilla rassegnazione…
Se tavolta, alle prese con gli autori, occorre unire oppure, a seconda dei casi, distinguere tra l’uomo e l’artista, per quanto riguarda Lars Von Trier è comunque un’impresa non da poco, essenzialmente perché i suoi film contengono sempre sia l’uno che l’altro, ma in maniera prepotente e, forse, eccezionalmente contradditoria: il primo è un po’ egocentrico, talvolta furbastro e spesso incontrollato (vedere le sue poco felici affermazioni su Hitler al festival di Cannes), mentre il secondo è un coraggioso ed estremo visionario. Perciò, per quanto riguarda l’autore danese, il punto sta nel riconoscere quando la prima prevale sulla seconda (e allora il più delle volte le conseguenze sono controverse), e quando invece è il contrario (e allora il risultato è pregnante e potente: esempi lampanti sono, tra gli altri, gli splendidi “Le Onde del Destino” e “Dancer in the Dark”, entrambi a tutt’oggi tra i suoi film migliori). In questo caso specifico, però, il gioco riesce ancora più difficile, perché il livido e metallico “Melancholia” rimane a sua volta, come successe anche qualche anno fa con “Dogville”, sorprendentemente in bilico tra le due. Infatti, se da una parte appare gonfiato, sconnesso e confusionario, dall’altra è un’opera personalissima, di grande pregnanza e complessità metaforica, visivamente suggestiva e di sofferta intensità (vedere il bellissimo incipit sulle note di Wagner); in egual modo, l’irritante pretestuosità di un autore che (come da lui stesso confermato) sta consapevolmente compiendo la discutibile operazione di fare cinema principalmente per sé stesso non riesce sempre ad esprimere tutta la forza del suo valore espressivo; infatti, se il personaggio di Kirsten Dunst (premiata come migliore attrice a Cannes con certo merito) non è altro che il palese alter-ego dell’autore, la stessa diventa automaticamente anche il veicolo per esporre il senso intrinseco e le intenzioni dell’opera, già palesemente dichiarate nel titolo: secondo von Trier (almeno in questo film), coloro che si lasciano andare allo sconforto sono anche in grado di avvertire davvero e con particolare chiarezza l’impietosa ineluttabilità del nulla assoluto che ci circonda, comprendendola e affrontandola con ulteriore rassegnazione proprio perché a loro il mondo sta già cadendo addosso. Sfaccettato e personalissimo, ondivago e straniante, “Melancholia” è un film diviso in due capitoli e due anime: i primi nettamente separati, le seconde eccentricamente polivalenti.
Melancholia | |
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Summary
id.; di LARS VON TRIER; con KIRSTEN DUNST, CHARLOTTE GAINSBOURG, KIEFER SUTHERLAND, CHARLOTTE RAMPLING, ALEXANDER SKARSGARD, JOHN HURT, STELLAN SKARSGARD, BRADY CORBET, UDO KIER; drammatico; Danimarca/ Svezia/ Francia/ Germania, 2011; durata: 130’; |
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