A pochi giorni dall’annuncio delle nomination ai BAFTA, sono state svelate da Leslie Jordan e Tracee Ellis Ross le candidature della 94esima edizione dei premi Oscar, che verranno assegnati domenica 27 marzo nel corso della cerimonia di premiazione in diretta dal Dolby Theatre a Los Angeles.
E a guidare quest’anno la competizione per numero di candidature (ben dodici in totale) è l’intenso dramma Il Potere del Cane, film diretto dalla nota neozelandese Jane Campion (candidata in tripla veste di regista, sceneggiatrice e co-produttrice), che si impone appunto come uno dei protagonisti di questa edizione, schierando in gara anche i quattro interpreti principali. Segue a ruota, con dieci candidature (tra cui miglior film), Dune di Denis Villeneuve, fantascientifico blockbuster d’autore tratto dalla prima parte del romanzo di culto di Frank Herbert (la cui conclusione verrà successivamente portata al cinema dallo stesso regista in un già programmato sequel), che però a sorpresa manca la nomination al regista (candidato comunque come co-produttore e co-sceneggiatore), restando tuttavia ben posizionato in svariate categorie tecniche.
Ben posizionati (con sette nomination ciascuno, tra cui quella nella categoria principale) anche il coinvolgente Belfast (sentito racconto semi-autobiografico in bianco e nero di Kenneth Branagh, a sua volta in gara come regista, sceneggiatore e co-produttore) e la nuova versione per lo schermo di West Side Story (celebre musical di Steven Sondheim, riportato al cinema da Steven Spielberg sessant’anni dopo la mitica versione di Wise e Robbins, che nel 1961 conquistò ben 10 Oscar tra cui miglior film). E se anche il biopic Una Famiglia Vincente – King Richard non sfigura con la sua mezza dozzina di nomination, in gara per il premio più importante troviamo inoltre un trio di titoli con quattro candidature a testa, ovvero la satira di Adam McKay Don’t Look Up (che ha diviso pubblico e critica), il conturbante noir di Guillermo Del Toro La Fiera delle Illusioni – Nightmare Alley (tratto dal romanzo di William Lindsay Gresham, già portato su schermo nel 1947 da Edmund Goulding) e l’acclamato film giapponese Drive My Car di Ryūsuke Hamaguchi: quest’ultimo film si distingue non solo per il suo poker di candidature importanti, ma anche per essere il primo lungometraggio di produzione nipponica a ricevere una nomination nella categoria principale (alla quale si aggiungono, appunto, quelle per miglior regia, sceneggiatura non originale e, prevedibilmente, miglior film internazionale).
Infine, a completare la decina di candidati come miglior film sono due titoli entrambi capaci di imporsi in gara contando soltanto su un tris di pur importanti nomination, ovvero il già molto premiato CODA – I Segni del Cuore (riuscito remake americano del successo francese La Famiglia Bélier) e il ben accolto Licorice Pizza di Paul Thomas Anderson (a sua volta candidato non solo come regista, ma anche come sceneggiatore e co-produttore). Stesso numero di nomination per Macbeth di Joel Coen (nuova e personalissima versione del classico shakespeariano), Being the Ricardos di Aaron Sorkin (presente in tre diverse categorie dedicate alla recitazione grazie alle performance di Nicole Kidman, Javier Bardem e J. K. Simmons) e La Figlia Oscura di Maggie Gyllenhaal, apprezzato esordio alla regia della nota attrice, basato sul romanzo di Elena Ferrante e con protagoniste Olivia Colman e Jessie Buckley, entrambe candidate per aver interpretato differenti versioni del medesimo personaggio (rispettivamente in età matura e giovane) nello stesso film: tale circostanza si era verificata in precedenza soltanto in due occasioni, ovvero nel 1998 (con Kate Winslet e Gloria Stuart per Titanic) e nel 2001 (con Judi Dench e, curiosamente, ancora la Winslet per Iris – Un Amore Vero). Ma in gara con altrettante designazioni, oltre all’emozionante No Time to Die (venticinquesimo film della saga di James Bond), troviamo anche due ben accolte pellicole d’animazione, ovvero il cartoon Disney Encanto (doppiamente presente nelle categorie musicali) e il notevole danese Flee, primo titolo nella storia dell’Academy ad essere candidato simultaneamente come miglior lungometraggio animato, miglior documentario e miglior film internazionale.
E se, tra i prodotti di non-fiction in corsa per il premio nella relativa categoria, da citare è anche il già molto premiato Summer of Soul, tra i film non anglofoni in competizione spiccano non solo lo spagnolo Madres Paralelas di Pedro Almodóvar (che frutta una nuova candidatura alla protagonista Penélope Cruz) e il norvegese La Persona Peggiore del Mondo di Joachim Trier (forte di una seconda nomination per la sceneggiatura), ma anche l’italiano È Stata la Mano di Dio di Paolo Sorrentino (che riporta in gara il nostro paese e il regista partenopeo a otto anni dalla vittoria per La Grande Bellezza). Ma oltre a Sorrentino, quest’anno in gara troviamo altri due italiani, ovvero il costumista Massimo Cantini Parrini, candidato per il musical Cyrano (nomination condivisa con l’inglese Jacqueline Durran) e l’animatore Enrico Casarosa (originario di Genova e naturalizzato statunitense), in corsa invece per il premio al miglior film d’animazione con Luca, suo primo lungometraggio da regista.
Per quanto riguarda invece gli altri interpreti candidati, ad imporsi nella competizione sono inoltre l’inedita Jessica Chastain de Gli Occhi di Tammy Faye e l’apprezzato Andrew Garfield di Tick, Tick… Boom!, entrambi piuttosto quotati al premio come protagonisti in un’edizione in cui, curiosamente, tra gli interpreti in lizza per il premio troviamo per la prima volta ben due coppie nella vita reale, ovvero i partner di lunga data Dunst e Plemons (entrambi candidati per Il Potere del Cane) e i già citati coniugi Cruz e Bardem (invece in corsa per progetti differenti); da segnalare inoltre la prima nomination a Kristen Stewart come miglior attrice per Spencer (acclamato film di Pablo Larraín che inaspettatamente può contare soltanto su quest’unica candidatura) e la seconda all’attore e rapper Riz Ahmed, quest’anno in gara non per la recitazione, bensì per il suo contributo (anche come co-sceneggiatore) al cortometraggio The Long Goodbye, realizzato come progetto creativo di accompagnamento all’uscita del suo nuovo album omonimo. Infine, tra gli film candidati nelle categorie tecniche, oltre al live-action Disney Crudelia (assai quotato per il premio ai costumi) e al tiepidamente accolto House of Gucci di Ridley Scott (in gara soltanto per la statuetta a trucco e acconciature), spiccano anche ben due successi Marvel come Spider-Man: No Way Home e Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli (che non a caso si contendono il premio per gli effetti visivi).
Tra i film quest’anno invece completamente snobbati dall’Academy, da citare sono innanzitutto The French Dispatch (atteso ritorno di Wes Anderson), Il Collezionista di Carte (nuovo lavoro da regista di Paul Schrader) e Due Donne – Passing (ben accolto esordio alla regia dell’attrice Rebecca Hall), ma anche il dramma storico in costume The Last Duel di Ridley Scott, l’intimista C’mon C’mon con Joaquin Phoenix e il piccolo-grande Mass di Fran Kranz.
Ma vediamo ora la competizione nel dettaglio: di seguito, ecco infatti l’elenco di tutti i candidati di questa 94esima edizione dei premi Oscar, completo di approfondimenti, riflessioni, pronostici e curiosità sulle nomination in ogni categoria:
Per un decennio rimasta “elastica”, ovvero aperta a una quantità di candidati variabile da cinque alla decina, da questa 94esima edizione la categoria principale, cioè quella per il miglior film, torna ad un numero fisso di dieci contendenti, variazione al regolamento già applicata (dopo i primi anni a cifra mutevole) prima nel periodo dal 1936 al 1943 e in seguito nuovamente (dopo 64 anni di immutata riduzione alla più classica cinquina) nel biennio 2009-2010. Un cambio di regole adottato proprio in un anno caratterizzato da una stagione dei premi dallo svolgimento talmente inconsueto, mutevole e imprevedibile da rendere tuttora difficile identificare un autentico favorito tra i dieci titoli in corsa per il premio più importante: infatti, se da una parte il quotato Il Potere del Cane (gradito ritorno di Jane Campion, prodotto e distribuito da Netflix) continua senza dubbio a dimostrarsi un contendente di spicco (forte anche delle numerose candidature e delle precedenti vittorie ai Golden Globe e ai BAFTA), dall’altra la coinvolgente dramedy CODA – I Segni del Cuore (remake del francese La Famiglia Bélier, targato invece Apple TV+) è tuttavia nel frattempo riuscita ad imporsi nella corsa ai premi con inaspettata decisione (pur vantando soltanto tre nomination, seppur di rilievo), trionfando non solo al Sundance, ma in seguito anche ai prestigiosi SAG e PGA Awards. Tale sfida a due (che potrebbe quindi portare un servizio streaming a trionfare per la prima volta nella categoria principale, prevalendo così sulle major), si estende ad un terzo film piuttosto amato anche dagli spettatori, ovvero l’evocativo Belfast di Kenneth Branagh, già vincitore del premio del pubblico al Toronto Film Festival e diffusamente ritenuto maggiormente in linea con la tradizione dell’industria hollywoodiana e di conseguenza con i gusti dell’Academy. Ma in una gara che rimane appunto ancora decisamente aperta, da non sottovalutare sono anche due nuove e apprezzate rielaborazioni di storie già approdate in precedenza sul grande schermo, ovvero il suggestivo Dune (pronto a fare incetta di riconoscimenti tecnici) e il nuovo West Side Story (favorito anche dalla fama planetaria del regista Spielberg, il quale, in corsa anche per il premio principale in veste di co-produttore, all’undicesima nomination in questa categoria irrobustisce ulteriormente il suo record per maggior numero di candidature al miglior film). E se le reazioni discordanti non hanno precluso al satirico disaster-movie Don’t Look Up (anch’esso targato Netflix) un posto tra i candidati anche nella categoria principale, in lizza per lo stesso premio troviamo anche (come da pronostico) il ben confezionato biopic Una Famiglia Vincente – King Richard (con protagonista Will Smith, in pole position per il premio come miglior attore) e l’applaudito Licorice Pizza (scritto, diretto e co-prodotto del grande Paul Thomas Anderson). Infine, a chiudere la rosa di titoli in lizza per l’Oscar come miglior film sono, a sorpresa, il nuovo lavoro di Guillermo Del Toro La Fiera delle Illusioni – Nightmare Alley (altro remake di livello, che a questa importante nomination accorpa però soltanto un trio di menzioni tecniche) e l’acclamato giapponese Drive My Car di Ryūsuke Hamaguchi, che con il suo poker di rilevanti nomination supera le aspettative, figurando appunto con merito anche tra i candidati al premio principale. Tra i film esclusi dalla competizione in questa categoria, oltre al personale Macbeth di Joel Coen e al successo No Time to Die, spiccano invece soprattutto i due ben accolti debutti alla regia di altrettante personalità già note nell’ambiente hollywoodiano, ovvero Tick, Tick… Boom! di Lin-Manuel Miranda e La Figlia Oscura di Maggie Gyllenhaal.
Forte di un ininterrotto percorso di vittorie (dal Leone d’Argento a Venezia al Golden Globe, fino al BAFTA e al prestigioso DGA Award), la grande favorita al premio per la regia resta la neozelandese Jane Campion, tornata quest’anno finalmente alla ribalta con Il Potere del Cane: prima donna a ricevere una seconda nomination come regista (la prima fu nel 1993 per Lezioni di Piano, film che le fece ottenere la statuetta per la sceneggiatura), in caso di vittoria diventerebbe la terza a conquistare il premio dopo Kathryn Bigelow (vincitrice nel 2009 per The Hurt Locker) e Chloé Zhao (che trionfò lo scorso anno con Nomadland), rispettivamente quarta e settima donna a ricevere la candidatura in una categoria in cui per la prima volta si verificherebbe quindi una seconda vittoria femminile consecutiva. Ma in cinquina, oltre all’immancabile e già due volte vincitore Steven Spielberg (il quale, all’ottava nomination in questa categoria, arriva a condividere con Billy Wilder il record di terzo regista più candidato di sempre, diventando inoltre il primo a competere per il premio in sei decadi differenti), spiccano anche altri due nomi celebri eppure ancora in attesa di vittoria, entrambi in corsa per l’Oscar anche in veste di co-produttori e sceneggiatori, ovvero Paul Thomas Anderson e Kenneth Branagh: quest’ultimo, già più volte candidato in precedenza, grazie alla nuova tripla designazione per il suo Belfast conquista inoltre il record di maggior numero di nomination in differenti categorie (ben sette), spodestando Walt Disney e George Clooney (entrambi a quota sei). Tra gli esclusi, oltre alla Sian Heder di CODA – I Segni del Cuore e ai già citati Almodóvar e Maggie Gyllenhaal, stupisce invece innanzitutto l’assenza di Denis Villeneuve: infatti, pur spiccando come uno dei film più candidati dell’anno, a sorpresa il suo Dune manca a sorpresa questa importante nomination al regista (comunque candidato come co-produttore e co-sceneggiatore), a cui l’Academy preferisce invece lo stimato Ryūsuke Hamaguchi, terzo regista giapponese (dopo Teshigahara e Kurosawa) a ricevere una nomination in una categoria che da qualche tempo continua quindi a dimostrarsi decisamente più inclusiva e aperta a meritevoli autori non anglofoni.
Come lo scorso anno, la categoria della miglior attrice protagonista resta di nuovo tuttora una delle più imprevedibili a fronte di una stagione dei premi in continua quanto inaspettata evoluzione: infatti, se inizialmente l’inedita Kristen Stewart di Spencer pareva aver già ipotecato la vittoria per la sua sentita ed intensa performance nei panni di Lady Diana, in seguito le speranze dei numerosi fan e sostenitori di vederla conquistare la statuetta si sono progressivamente affievolite, specialmente dopo le sorprendenti esclusioni dalla corsa ai SAG e ai BAFTA, arrivate poco dopo l’ulteriore mancata vittoria del Golden Globe, conquistato invece da Nicole Kidman, la quale ha sorpreso pubblico e critica con la sua trasformazione in Lucille Ball nel biopic Being the Ricardos; a quel punto assai quotata, anche quest’ultima si è però vista soffiare il SAG (e quindi lo status di favorita) da un’altra interprete anch’essa nei panni di un personaggio realmente esistito, ovvero la Jessica Chastain de Gli Occhi di Tammy Faye, che per il ruolo del titolo si è aggiudicata inoltre il Critics’ Choice Award, prevalendo proprio sulla Stewart, la quale però a sorpresa non viene invece snobbata dall’Academy, riuscendo comunque ad ottenere la sua prima nomination e tornando così alla ribalta in una competizione che, appunto così imprevedibile, potrebbe anche vederla trionfare. A chiudere la cinquina, insieme all’inglese Olivia Colman (eccellente ne La Figlia Oscura di Maggie Gyllenhaal), troviamo infine la star spagnola Penélope Cruz, la quale, di nuovo in gara con un’altra performance nella sua lingua madre (ovvero il ruolo centrale in Madres Paralelas, settima collaborazione tra l’attrice e Almodóvar), riesce con merito a farsi notare dall’Academy nonostante la quasi totale assenza nel circuito dei premi, compensata da una diffusa accoglienza entusiastica coronata dalla Coppa Volpi a Venezia (dove a sua volta prevalse proprio sulla Stewart). Sorte inversa invece per Lady Gaga, la quale, pur non avendo mancato nessuna precedente candidatura importante (dal Golden Globe, al SAG fino al BAFTA e al Critics’ Choice Award), non replica il successo ottenuto con il precedente A Star is Born, mancando infatti a sorpresa la nomination all’Oscar per la sua trasformazione in Patrizia Reggiani nel tiepidamente accolto House of Gucci di Ridley Scott. Tra le altre attrici fuori gara, oltre alla Jodie Comer di The Last Duel e alla Emilia Jones di CODA – I Segni del Cuore, da citare sono inoltre Alana Haim (rivelazione di Licorice Pizza), Jennifer Hudson (apprezzata Aretha Franklin nel biopic Respect) e Tessa Thompson (ottima in Due Donne – Passing), ma anche l’esordiente Rachel Zegler (convincente Maria nel nuovo West Side Story), la grande Frances McDormand (inedita Lady Macbeth nella versione su schermo di Joel Coen) e soprattutto la norvegese Renate Reinsve (premiata a Cannes per La Persona Peggiore del Mondo).
Nella corsa al premio come miglior attore protagonista, i trionfi ai Golden Globe, SAG, Critics’ Choice e BAFTA Awards hanno confermato lo status di grande favorito per Will Smith, il quale, alla sua terza candidatura per il ruolo di Richard Williams in Una Famiglia Vincente – King Richard, punta infatti alla sua prima vittoria; a tentare di insidiarlo troviamo però non solo il divo inglese Benedict Cumberbatch (che torna in gara con la sottile quanto sofferta interpretazione ne Il Potere del Cane), ma anche l’anglo-americano Andrew Garfield, già vincitore del Golden Globe come interprete brillante per la sua trascinante performance musicale nei panni di Jonathan Larson nel lungometraggio targato Netflix Tick, Tick… Boom! (esordio alla regia di Lin-Manuel Miranda). In cinquina si fa comunque notare anche il già due volte vincitore Denzel Washington, che per la sua interpretazione nel personale Macbeth di Joel Coen ottiene la nona nomination per la recitazione e decima in totale (nel 2016 fu infatti candidato anche come co-produttore per il suo Barriere): così, il grande e amatissimo divo afroamericano non solo irrobustisce ulteriormente il suo doppio record come attore nero più candidato di sempre e (più in generale) personalità black con più designazioni nella storia dell’Academy, ma arriva inoltre a condividere con Paul Newman, Spencer Tracy e Al Pacino il terzo posto per numero di nomination ad un interprete maschile. Infine, a chiudere la rosa di candidati è il pur meno quotato Javier Bardem, il quale, grazie alla sua interpretazione nei panni di Desi Arnaz in Being the Ricardos, soffia quindi il quinto posto in cinquina all’apprezzato Peter Dinklage di Cyrano e all’inedito Leonardo DiCaprio di Don’t Look Up. Tra gli esclusi degni di nota, oltre al grande Oscar Isaac de Il Collezionista di Carte, al ritrovato Simon Rex di Red Rocket e all’ottimo Joaquin Phoenix di C’mon C’mon, da citare sono inoltre il giovane Cooper Hoffman (figlio del compianto Philip Seymour Hoffman), al suo debutto come attore in Licorice Pizza, il convincente Bradley Cooper de La Fiera delle Illusioni (che per lo stesso film concorre comunque per il premio principale in veste di co-produttore) e il sorprendente Nicolas Cage di Pig, applaudito film “indie” in cui l’attore offre una performance ritenuta tra le migliori della sua carriera.
Nella categoria dedicata alle attrici in un ruolo di supporto pare non esserci partita: forte di un percorso netto di vittorie (dal Golden Globe al SAG, fino al BAFTA e al Critics’ Choice Award), la grande favorita si conferma infatti Ariana DeBose, la quale, alla sua prima nomination per il nuovo West Side Story di Spielberg, vede infatti la statuetta ormai all’orizzonte grazie alla sua performance nei panni di Anita, già interpretata nella mitica versione del 1961 da Rita Moreno, che per il medesimo ruolo si aggiudicò l’Oscar nella stessa categoria; in precedenza, soltanto altri due personaggi hanno portato al trionfo attori differenti, ovvero l’indimenticabile Vito Corleone (interpretato prima da Marlon Brando e in seguito da Robert De Niro nei primi due capitoli della saga de Il Padrino) e in seguito l’iconico villain Joker (che dopo aver fruttato una vittoria postuma a Heath Ledger per Il Cavaliere Oscuro, più recentemente ha fatto conquistare un tanto atteso riconoscimento anche a Joaquin Phoenix grazie al discusso film di Todd Phillips). A contendersi per il premio con DeBose (la quale, in caso di vittoria, diventerebbe inoltre la prima afro-latina apertamente queer ad aggiudicarsi un premio per la recitazione), non sfigurano comunque la Aunjanue Ellis di Una Famiglia Vincente e la Kirsten Dunst de Il Potere del Cane, anch’esse alla prima nomination come l’outsider irlandese Jessie Buckley de La Figlia Oscura, la quale, nei panni di un personaggio “condiviso” con la Colman (interpretandone infatti la versione più giovane), riesce a soffiare la nomination alla più celebre Marlee Matlin di CODA – I Segni del Cuore. Infine, grazie al suo ruolo di amorevole madre e nonna in Belfast, a chiudere la cinquina troviamo Judi Dench (unica in categoria già candidata e premiata), la quale, pur senza aver conquistato quest’anno nessuna precedente nomination importante, contro ogni pronostico prevale a sorpresa sulla meno celebre ma più quotata co-protagonista Caitríona Balfe: così, tornando in gara per l’ottava volta all’età di 87 anni, la grande attrice inglese diventa non solo la terza persona più anziana ad ottenere una candidatura per la recitazione dopo Christopher Plummer (88enne all’epoca della nomination per Tutti i Soldi del Mondo) e Gloria Stuart (la quale, più vecchia di soli 160 giorni quando ricevette la designazione per Titanic, resta l’unica a superarla per longevità in questa categoria) ma anche l’interprete femminile non americana più candidata di sempre (tra gli uomini, il record resta tuttora di un altro inglese illustre, ovvero Laurence Olivier, in competizione ben 11 volte, di cui 10 come attore). Tra le attrici invece escluse da questa cinquina, insieme alle già citate Matlin e Balfe, spiccano inoltre non solo la sorprendente Kathryn Hunter di Macbeth e la conturbante Cate Blanchett de La Fiera delle Illusioni, ma anche la troppo poco considerata Ann Dowd (davvero notevole nell’intimo dramma Mass) e soprattutto la Ruth Negga di Due Donne – Passing (snobbata dall’Academy nonostante le candidature ai Golden Globe, SAG e BAFTA).
Se all’inizio, specialmente dopo alcuni premi dei critici e la vittoria del Golden Globe, il giovane Kodi Smit-McPhee pareva proiettato verso un trionfo come miglior attore non protagonista per la sua efficace performance ne Il Potere del Cane, in seguito l’attenzione si è spostata su Troy Kotsur, che per l’ottima performance nel quotato CODA – I Segni del Cuore ha infatti conquistato il SAG, il BAFTA e il Critics’ Choice Award, imponendosi quindi come favorito anche per l’Oscar: primo interprete maschile sordo a ricevere la nomination (al suo primo ruolo di rilievo nel cinema di fiction dopo una lunga esperienza in teatro, un paio di documentari, diversi lavori di consulenza per il linguaggio dei segni e alcune partecipazioni televisive), in caso di vittoria diventerebbe il secondo non udente ad aggiudicarsi una statuetta per la recitazione dopo Marlee Matlin (vincitrice nel 1986 come attrice di supporto per Figli di un Dio Minore e ora sua co-protagonista proprio nel film di Sian Heder). Ma in corsa per il premio troviamo anche un secondo interprete dal film di Jane Campion, ovvero il più celebre e a sua volta molto apprezzato Jesse Plemons, che a sorpresa non viene dimenticato dall’Academy pur senza essersi imposto con particolare decisione nel circuito dei premi (vantando infatti un’unica importante candidatura ai BAFTA). Chiudono la cinquina l’irlandese Ciarán Hinds (il quale, come da pronostico, grazie al suo ruolo in Belfast si conquista con merito un posto tra i candidati, prevalendo sul co-protagonista Jamie Dornan) e il già noto caratterista di livello J. K. Simmons (unico in cinquina già premiato in precedenza), che grazie alla sua interpretazione nei panni dell’attore William Frawley in Being the Ricardos soffia la candidatura al già citato Bradley Cooper, snobbato dall’Academy anche in questa categoria nonostante gli ottimi riscontri ottenuti dalla breve ma intensa partecipazione nei panni del produttore Jon Peters in Licorice Pizza. Tra gli altri esclusi, oltre al giovane quanto lodato Woody Norman di C’mon C’mon e al trascinante Mike Faist di West Side Story, spiccano inoltre Ben Affleck (che quest’anno si è fatto notare in ben due film, ovvero The Tender Bar di George Clooney e The Last Duel di Ridley Scott) e soprattutto il Jared Leto di House of Gucci, il quale (come la co-protagonista Lady Gaga) non riesce a convincere l’Academy con la sua trasformazione (forse troppo caricaturale?) in Paolo Gucci nel discusso film di Ridley Scott.
Anche nella corsa al premio per lo script originale, la partita sembra ancora del tutto aperta tra cinque pellicole tutte scritte o co-sceneggiate dai rispettive registi; infatti, se il trionfo nella categoria analoga ai Golden Globe potrebbe favorire Belfast, facendo conquistare la prima statuetta a Branagh (che potrebbe trovare così una sorta riscatto in caso di mancata vittoria per la regia), il BAFTA assegnato a Paul Thomas Anderson per Licorice Pizza ha fatto sprofondare nell’incertezza una gara resa in seguito ancora più serrata da una rilevante vittoria a sorpresa del discusso Don’t Look Up (co-sceneggiato dal regista McKay, già premiato nel 2015 per lo script de La Grande Scommessa), che contro ogni pronostico si è aggiudicato il prestigioso WGA Award, prevalendo su entrambi i succitati (e più quotati) contendenti. Con tali presupposti, non si può escludere nemmeno una pur improbabile dispersione di voti che potrebbe favorire il meritevole outsider La Persona Peggiore del Mondo (primo film norvegese candidato per la scrittura, forte anche di un’accoglienza entusiastica coronata da una seconda nomination come miglior film internazionale) o magari il coinvolgente Una Famiglia Vincente – King Richard (anch’esso in corsa per il premio principale), forse meno quotato anche se più in linea con la classica tradizione dell’industria hollywoodiana (fattore che potrebbe in effetti giovare nella corsa all’Oscar). Sorprendentemente escluso dalla cinquina lo stimato autore e drammaturgo Aaron Sorkin (premiato nel 2010 per The Social Network), che con Being the Ricardos (suo terzo film da regista, da lui stesso naturalmente anche sceneggiato) non convince come in precedenti occasioni; fuori dalla competizione, oltre all’intimo C’mon C’mon di Mike Mills, restano inoltre non solo i già molto celebri Paul Schrader e Wes Anderson (di cui l’Academy ha infatti completamente ignorato i rispettivi lavori, ovvero Il Collezionista di Carte e The French Dispatch), ma anche altri due grandi autori non americani di fama internazionale come Pedro Almodóvar e Asghar Farhadi (entrambi incredibilmente esclusi anche dalla corsa al premio come miglior film internazionale per i rispettivi film Madres Paralelas e Un Eroe).
Se inizialmente, grazie all’ottima riscontro ottenuto con Il Potere del Cane (tratto dal romanzo omonimo di Thomas Savage), la stimata Jane Campion (già premiata come sceneggiatrice nel 1993 per il suo Lezioni di Piano) pareva aver già ipotecato una vittoria anche per il miglior script basato su materiale già pubblicato, successivamente CODA – I Segni del Cuore (remake del francese La Famiglia Bélier, riscritto per il pubblico d’oltreoceano dalla regista Sian Heder) è tuttavia riuscito ad imporsi con decisione anche in questa categoria, trionfando infatti non solo ai BAFTA, ma anche ai WGA come miglior adattamento. Tale sfida al femminile (contingenza non comune nelle categorie della scrittura) si allarga inoltre ad una terza concorrente da non sottovalutare, ovvero Maggie Gyllenhaal (ora terza donna dopo Ruth Gordon e Emma Thompson a vantare una nomination sia come attrice che come sceneggiatrice), che per il suo debutto alla regia con La Figlia Oscura ha adattato con successo il romanzo omonimo di Elena Ferrante, ottenendo proprio il premio per il miglior script all’ultimo festival di Venezia e in seguito il riconoscimento analogo anche agli Spirit e ai Gotham Awards (entrambi dedicati ai prodotti indipendenti). A chiudere la cinquina, altri due film diversissimi ma entrambi ben posizionati e co-sceneggiati dai rispettivi registi, ovvero il suggestivo Dune (tratto dalla prima parte del romanzo cult di Frank Herbert, a cui Villeneuve è riuscito a rendere finalmente giustizia su schermo, prefissandosi di terminare l’operazione con un sequel) e l’applaudito dramma nipponico Drive My Car, ispirato all’omonimo racconto di Haruki Murakami (adattato per lo schermo da Hamaguchi con Tamakasa Oe, che diventano così i primi giapponesi ad essere candidati per la scrittura). Niente nomination invece per la già celebre attrice Rebecca Hall, che per il suo primo film da regista Due Donne – Passing ha efficacemente adattato per lo schermo l’omonimo romanzo di Nella Larsen. Fuori dalla cinquina anche tre nuove e riuscite versioni cinematografiche di testi in precedenza già approdati sul grande schermo, ovvero la riproposizione di West Side Story targata Steven Spielberg (sceneggiata dal celebre drammaturgo Tony Kusher), la personale riscrittura del classico shakespeariano Macbeth ad opera di Joel Coen (che per la prima volta lavora in solitaria, ovvero senza la collaborazione del fratello Ethan) e la nuova riduzione ad opera di Guillermo del Toro del romanzo di William Lindsay Gresham La Fiera delle Illusioni (già portato al cinema nel 1947 con protagonista Tyrone Power).
Nella categoria dedicata alle produzioni internazionali non anglofone (precedentemente nota come “miglior film straniero”), a otto anni dal trionfo de La Grande Bellezza l’Italia torna finalmente in competizione ancora con Paolo Sorrentino, per la seconda volta in gara con il suo nono, sentito e riuscito lungometraggio È Stata la Mano di Dio (prodotto e distribuito da Netflix). Per l’Italia, che detiene tuttora il record di vittorie (ben undici, a cui si aggiungono tre speciali premi onorari assegnati prima dell’istituzione ufficiale della categoria), è la ventinovesima nomination, diminuendo ulteriormente in questo senso il suo distacco con la Francia, che infatti, con le sue trentotto designazioni, resta invece il paese più candidato. Già vincitore del Premio della Giuria al festival di Venezia, agli Oscar il film di Sorrentino dovrà però vedersela non solo con il norvegese La Persona Peggiore del Mondo di Joachim Trier (forte di una seconda nomination per la sceneggiatura), ma anche e soprattutto con il già premiatissimo Drive My Car di Hamaguchi, grande favorito alla vittoria anche a fronte delle tre ulteriori nomination importanti tra cui quella per il premio principale (fattore di rilievo se si considera che in precedenza tutti i titoli in gara sia come pellicola internazionale che come miglior film hanno finora sempre prevedibilmente trionfato in questa categoria). Ma in cinquina si fa comunque notare anche il danese Flee di Jonas Poter Rasmussen, quinto documentario a concorrere in questa categoria (dopo l’israeliano Valzer con Bashir di Ari Folman, il cambogiano L’immagine Mancante, il macedone Honeyland e il rumeno Collective) e secondo cartoon candidato come miglior pellicola internazionale (dopo il succitato film di Folman nel 2008), nonché primo titolo in assoluto in lizza per questo premio e, simultaneamente, anche per quelli come miglior lungometraggio d’animazione e miglior opera di non-fiction. A chiudere la rosa di candidati è infine Lunana: Il Viaggio alla Fine del Mondo, che segna la prima partecipazione del Bhutan nella corsa agli Oscar: a sorpresa, quest’ultimo film soffia quindi l’ultimo posto in cinquina ai due vincitori ex aequo del Gran Prix all’ultimo festival di Cannes, ovvero il finlandese Scompartimento n. 6 e il più quotato Un Eroe del celebre autore iraniano Asghar Farhadi (già due volte vincitore in questa categoria). Fuori gara anche il tedesco I’m Your Man e il messicano Prayers for the Stolen, anch’essi nella shortlist dei 15 finalisti, tra i quali per motivi differenti non figurano invece Francia e Spagna: infatti, se la prima viene a sorpresa snobbata dall’Academy nonostante (o forse proprio per) la coraggiosa decisione di farsi rappresentare in questa categoria dal tosto e discusso Titane (vincitore della Palma d’Oro a Cannes), la seconda paga forse invece la scelta opinabile di puntare a sorpresa sulla commedia Il Capo Perfetto invece che sul più celebre Almodóvar di Madres Paralelas, titolo decisamente più quotato che, riuscendo inoltre ad imporsi comunque nella competizione in altre due categorie (miglior attrice e colonna sonora), avrebbe probabilmente avuto maggiori possibilità di entrare in cinquina.
Tra i lungometraggi d’animazione in corsa per il premio nella categoria a loro dedicata, il colosso Disney punta di nuovo alla vittoria con Encanto (forte anche di altre due candidature per colonna sonora e canzone originale), già trionfatore ai Golden Globe e ai BAFTA ma non agli Annie Awards (rilevanti riconoscimenti riservati proprio ai prodotti animati), dove invece ha prevalso l’adorabile I Mitchell contro le Macchine, riuscito prodotto Netflix che potrebbe infatti rivelarsi un valido contendente. Da non sottovalutare è però anche l’outsider danese Flee, secondo cartoon in lizza per il premio al miglior film in lingua straniera (dopo il già citato Valzer con Bashir nel 2008, escluso però da questa cinquina) e primo candidato in questa categoria a concorrere anche per la statuetta come miglior documentario, nonché primo film in assoluto a conquistare tale inconsueto tris di designazioni. Chiudono la rosa di candidati altri due prodotti targati Disney, ovvero il godibile anche se non ugualmente quotato Raya e l’Ultimo Drago (a lungo rimandato a causa della pandemia) e il più considerato Luca, nuova collaborazione della succitata major con l’immancabile studio Pixar, che fa approdare in gara il co-regista Enrico Casarosa, animatore italiano naturalizzato statunitense (nato a Genova e già candidato all’Oscar nel 2011 per il cortometraggio animato La Luna). Fuori competizione il sequel Universal Sing 2 e un paio di ben accolti prodotti internazionali, ovvero l’anime giapponese Belle di Mamoru Hosoda (visionaria versione futuristica della classica fiaba La Bella e la Bestia) e il francese La Vetta degli Dei (targato Netflix e basato sul manga di Jirō Taniguchi, a sua volta tratto da un romanzo di Baku Yumemakura).
Tra i candidati al premio per la fotografia, l’australiano Greig Fraser resta il favorito alla vittoria per l’eccellente resa su schermo delle avvolgenti e cruciali atmosfere di Dune; tuttavia, per il prezioso contributo alle immagini de Il Potere del Cane, assolutamente da non sottovalutare è anche la neo-candidata sua conterranea Ari Wegner, la quale, seconda donna a ricevere una nomination in questa categoria dopo Rachel Morrison (in gara nel 2018 per Mudbound), in caso di vittoria diventerebbe quindi la prima ad aggiudicarsi il premio per la fotografia. In cinquina, oltre al danese Dan Laustsen (di nuovo con Del Toro per il sinistro dramma a tinte noir La Fiera delle Illusioni – Nightmare Alley), si distinguono inoltre altri due maghi delle luci di fama internazionale, ovvero il francese Bruno Delbonnel (alla sua sesta candidatura per il rarefatto bianconero del Macbeth di Joel Coen), e il polacco Janusz Kaminski, che con West Side Story continua con successo la quasi trentennale collaborazione con Spielberg, con il quale ha girato infatti ben 19 film (due dei quali, ovvero Schindler’s List e Salvate il Soldato Ryan, l’hanno portato alla vittoria). A sorpresa, quest’ultima vecchia conoscenza dell’Academy soffia così la candidatura al quotato cipriota Haris Zambarloukos (artefice del denso bianconero di Belfast), escluso dalla gara come anche lo svedese Linus Sandgren di No Time to Die e la troppo poco considerata francese Claire Mathon di Spencer; fuori gara anche gli statunitensi Robert Yeoman (ancora con Wes Anderson per The French Dispatch) e Andrew Droz Palermo (distintosi per la fumosa, splendida componente visiva di Sir Gawain e il Cavaliere Verde).
Se il riuscito La Fiera delle Illusioni di Guillermo del Toro può puntare a concretizzare in statuetta una delle sue tre meritate candidature tecniche, la categoria in cui una vittoria pare maggiormente possibile è forse quella dedicata alle migliori scenografie, grazie alla sontuosa ricostruzione d’epoca (ad opera di Tamara Deverell) tra squarci circensi e atmosfere noir; tuttavia, resta comunque un’impresa non da poco prevalere sul cruciale ed efficacissimo apparato visivo di Dune, che con i suoi sabbiosi, cruciali e suggestivi scenari spaziali (creati dal canadese Patrice Vermette) resta infatti il favorito anche in questa categoria. In gara si distinguono comunque anche le attente ambientazioni western de Il Potere del Cane (ad opera del già noto Grant Major) e l’essenziale quanto evocativo contesto scenico del Macbeth di Joel Coen (impreziosito anche dal contributo della nota arredatrice Nancy Haigh), mentre il già premiato scenografo Adam Stockhausen batte se stesso, entrando in gara non con il dettagliatissimo e molto quotato The French Dispatch (escluso a sorpresa anche da questa cinquina), bensì con i minuziosi scorci newyorkesi Anni ’50 di West Side Story. Niente candidatura anche per la rievocazione irlandese di Belfast e il riuscito musical Cyrano (girato in Sicilia), entrambi fuori dalla competizione insieme al dramma storico The Last Duel di Ridley Scott, al sontuoso Spencer e all’apprezzato Licorice Pizza.
Tra i candidati al premio per i costumi, a spiccare è invece il live-action Disney Crudelia, la cui cruciale componente glamour di spiccato gusto fashion-punk (ad opera dell’inglese Jenny Beavan, che alla sua undicesima candidatura punta ora al terzo premio) potrebbe infatti prevalere non solo sul sofisticato guardaroba d’epoca de La Fiera delle Illusioni (che frutta la seconda nomination al portoghese Luis Sequeira), ma anche sull’inventivo vestiario fantascientifico di Dune (frutto di un’efficace collaborazione tra la già nota Jacqueline West e il neo-candidato Robert Morgan). Ma in cinquina troviamo anche l’italiano Massimo Cantini Parrini, già candidato lo scorso anno per Pinocchio di Matteo Garrone e ora di nuovo in gara per il suo contribuito agli sfarzosi abiti del musical Cyrano di Joe Wright, a cui ha lavorato in collaborazione con la collega britannica Jacqueline Durran (già due volte premiata), con la quale condivide infatti questa sua seconda candidatura. Ad ottenere l’ultimo posto in cinquina è infine West Side Story, che prevale quindi sui quotati House of Gucci (ambientato proprio nel mondo della moda eppure escluso anche da questa categoria) e The French Dispatch (fuori gara nonostante l’ottimo lavoro della celebre costumista italiana Milena Canonero, già tre volte vincitrice). Esclusi dalla competizione anche Il Principe Cerca Figlio (impreziosito dal decisivo contributo al vestiario ad opera della stimata Ruth E. Carter) e ancora Spencer (che contava su un’altra notevole operazione di ricostruzione della già citata Durran).
Se anche nella corsa al premio per trucco e acconciature il glamour punk-rock di Crudelia tenta di insidiare i look futuristici (frutto anche di un sapiente ricorso a protesi ed effetti) dell’immancabile Dune, decisamente da non sottovalutare in questa categoria è perl anche il biopic Gli Occhi di Tammy Faye, per il quale potrebbe infatti conquistare la vittoria il trio di truccatori artefici dell’elaborato lavoro di alterazione dei tratti che coadiuva l’adesione mimetica con cui la protagonista Chastain si è calata nel ruolo del titolo. Similare e forse ancor più (troppo?) vistosa l’operazione attuata per rendere gli interpreti di House of Gucci più somiglianti alle reali personalità coinvolte nello scandaloso caso di cronaca nera che ha travolto la celebre famiglia italiana di stilisti, mentre a chiudere la cinquina è il team addetto al cruciale make-up della commedia Il Principe Cerca Figlio (sequel del grande successo del 1988 Il Principe Cerca Moglie). Così, a sorpresa, quest’ultimo titolo soffia la candidatura non solo ai più quotati Cyrano, No Time to Die e The Suicide Squad – Missione Suicida, ma anche a due film entrambi in corsa per il premio principale, ovvero West Side Story e La Fiera delle Illusioni – Nightmare Alley. Niente nomination anche per Being the Ricardos, Spencer, Cyrano e Sir Gawain e il Cavaliere Verde, che invece non rientrano infatti nemmeno nella shortlist di finalisti in questa categoria.
Anche nella categoria che tra le tecniche è da sempre oggetto di particolare attenzione (non solo perché dedicata ad uno dei processi cruciali nel linguaggio cinematografico, ma anche perché solita confermare e/o rafforzare l’influenza dei diversi candidati nelle categorie principali e quindi nella competizione generale) resta difficile identificare un autentico favorito alla vittoria: infatti, se da una parte lo spettacolare Dune (forte anche del buon posizionamento in diverse categorie tecniche) resta naturalmente in pole position anche per il premio al montaggio (ad opera del già noto Joe Walker), a spartirsi i prestigiosi Eddie Awards proprio per l’editing sono stati invece il più classico ma solido Una Famiglia Vincente – King Richard e il non a caso molto ritmato musical Tick, Tick… Boom!, che a sorpresa si rivelano quindi validissimi contendenti in questa rilevante categoria. Da non sottovalutare è comunque anche l’australiano Peter Sciberras per il contributo alla sottile quanto efficace tensione drammatica de Il Potere del Cane (che palesandosi anche in questa categoria si conferma appunto tra i protagonisti di questa edizione), mentre ad ottenere il quinto posto in cinquina è Hank Corwin, già candidato proprio per i due precedenti lavori del regista McKay, con il quale prosegue tale fortunata collaborazione cadenzando anche la sua nuova, discussa e serrata satira catastrofista Don’t Look Up. Tra i film che invece non riescono a ottenere la nomination in questa categoria, oltre ai molto considerati West Side Story e Belfast (entrambi infatti candidati in diverse categorie, tra cui quella principale), spiccano inoltre non solo il notevole Licorice Pizza (anch’esso il lizza per i premi a miglior film e regia), ma anche il quotato No Time to Die (trionfatore nella categoria analoga ai BAFTA) e il documentario Summer of Soul (molto elogiato proprio anche per il montaggio).
Tra i candidati al premio per la migliore colonna sonora, ad imporsi come favorito alla vittoria (forte anche del recente trionfo ai Golden Globe) è senza dubbio il grande musicista tedesco Hans Zimmer, che alla sua dodicesima nomination potrebbe infatti finalmente conquistare un meritato secondo Oscar (a 27 anni dalla prima vittoria per Il Re Leone) con la roboante ed ipnotica partitura di Dune. A tentare la difficile impresa di insidiarlo troviamo comunque non solo il capace Jonny Greenwood (noto anche come chitarrista dei Radiohead), nuovamente in gara per il suo efficace contributo musicale al dramma dai toni western Il Potere del Cane, ma anche la neo-candidata Germaine Franco, che per le cruciali e trascinanti melodie del cartoon Disney Encanto diventa la prima latina a ricevere una nomination in questa categoria. A completare la cinquina, oltre al più noto Nicholas Britell, per la seconda volta in competizione grazie all’incalzante colonna sonora di Don’t Look Up, a sorpresa troviamo inoltre lo spagnolo Alberto Iglesias, che per le intense musiche del dramma Madres Paralelas di Pedro Almodóvar riesce con merito a conquistarsi un posto tra i candidati, ottenendo con merito la sua quarta nomination; a sorpresa, quest’ultimo prevale quindi sul più quotato e già due volte premiato Alexandre Desplat (ancora con Wes Anderson per The French Dispatch), escluso dalla competizione come anche Carter Burwell (autore delle musiche di Macbeth di Joel Coen) e Daniel Pemberton (tornato a collaborare con Sorkin per Being the Ricardos); inoltre, fuori gara spiccano altri due quotati film anch’essi musicati dai succitati Zimmer e Greenwood, ovvero (rispettivamente) No Time to Die e Spencer.
A sfidarsi nella corsa al premio per la miglior canzone originale troviamo quest’anno cinque nomi già noti nell’ambiente cinematografico e/o musicale: infatti, se Lin-Manuel Miranda (già premiato con Tony e Pulitzer per il musical Hamilton) punta nuovamente alla vittoria tornando a collaborare con Disney (firmando infatti la traccia “Dos Oruguitas”, tra le più apprezzate della soundtrack di Encanto), ad imporsi in competizione è anche la popstar Beyoncé, che conquista la sua prima candidatura all’Oscar in veste di co-autrice del trascinante brano “Be Alive”, scritto in collaborazione con Dixson per il film Una Famiglia Vincente – King Richard; entrambi dovranno però vedersela con un’altra amatissima stella del pop a sua volta molto quotata (specialmente dopo la vittoria ai Golden Globe), ovvero la giovanissima ma già universalmente conosciuta Billie Eilish, co-autrice con il fratello maggiore Finneas O’Connell del vibrante tema portante di No Time to Die (25esimo capitolo della saga di James Bond). E se a 76 anni l’irlandese Van Morrison, veterano del blues-rock, ottiene la sua prima nomination per “Down to Joy”, motivo che apre l’evocativo Belfast del conterraneo Kenneth Branagh, in competizione ritroviamo inoltre una vecchia conoscenza dell’Academy, ovvero l’immancabile Diane Warren, la quale, candidata per la tredicesima volta eppure incredibilmente mai premiata, anche quest’anno tenta nuovamente di aggiudicarsi una prima, agognata vittoria con il brano “Somehow You Do”, scritto per il dramma Quattro Buone Giornate ed eseguito dalla star del country Reba McEntire. Tra le canzoni invece non considerate dall’Academy spiccano soprattutto “Just Look Up” (tema portante di Don’t Look Up, cantata nel film da Ariana Grande) e “Guns Go Bang” (pezzo originale realizzato per The Harder They Fall dal regista-musicista James Samuel in collaborazione con JAY-Z e Kid Cudi), ma anche “Here I Am (Singing My Way Home)” (eseguita da Jennifer Hudson per il biopic Respect), “Beyond the Shore” (inserita nel coinvolgente CODA – I Segni del Cuore) e “So We May Start” (tra i motivi più apprezzati del musical Annette di Leos Carax, scritto con gli Sparks).
In corsa per la statuetta agli effetti visivi non potevano certo mancare i viaggi interspaziali di Dune, che con la sua efficace resa su schermo dell’immaginifico universo fantascientifico di Frank Herbert si conferma infatti non a caso il grande favorito anche in questa categoria. Tuttavia, da notare è inoltre la doppia nomination a Dan Sudick, candidato in precedenza ben dieci volte eppure incredibilmente mai premiato, che infatti torna in competizione non solo con il team di addetti agli effetti speciali della spensierata action-comedy targata Disney Free Guy – Eroe per Gioco, ma anche per il suo analogo contributo alla cruciale componente tecnica del cinecomic Spider-Man: No Way Home, grande successo dei Marvel Studios; a tal proposito, anche quest’ultimo colosso produttivo si impone in gara con un rilevante bis di nomination, vantando infatti a sua volta una seconda presenza in cinquina con il godibile Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli, mentre a completare la rosa dei candidati troviamo lo spettacolare No Time to Die, che a sorpresa si conquista una menzione anche in questa categoria, prevalendo quindi su un quotato tris di sequel molto attesi, ovvero Godzilla vs. Kong, Ghostbusters: Legacy e soprattutto Matrix Resurrections. Tra gli altri titoli a mancare questa nomination spiccano inoltre Eternals e Black Widow (anch’essi targati Marvel), mentre il pur apprezzato The Suicide Squad (basato invece sui personaggi dei fumetti DC Comics) non rientra a sorpresa nemmeno nella shortlist dei finalisti, come anche il troppo sottovalutato Sir Gawain e il Cavaliere Verde.
Anche nella competizione per il premio al miglior sonoro (che dalla scorsa edizione si svolge in un’unica categoria, nella quale l’Academy ha infatti accorpato le due preesistenti cinquine “gemelle” dedicate a mixaggio e montaggio sonoro), il favorito alla vittoria resta senza dubbio l’immancabile Dune, che però dovrà vedersela non solo con le spettacolari sequenze action di No Time to Die, ma anche con le cruciali sonorità di West Side Story (nel cui team di tecnici del suono figura il già premiato Andy Nelson, il quale, alla ventiduesima candidatura, irrobustisce il suo record per maggior numero di presenze in questa categoria); ma oltre a quest’ultimo titolo, a sua volta ben posizionato in una categoria in cui il genere musical gode infatti da sempre (non a caso) di particolare considerazione, in cinquina troviamo altri due film candidati anche al premio principale, ovvero l’evocativo Belfast e il più sottile Il Potere del Cane, che soffiano quindi la candidatura ad un altro quotato musical come Tick, Tick… Boom! e al campione d’incassi Spider-Man: No Way Home; fuori gara, oltre all’avvolgente Ultima Notte a Soho di Edgar Wright (completamente ignorato dall’Academy), anche due sequel che, a differenza dei rispettivi predecessori, non trovano spazio in questa categoria, ovvero Matrix Resurrections e A Quite Place II, mentre tra i titoli a non rientrare nemmeno nella shortlist di finalisti spiccano il nuovo e ben accolto The Suicide Squad, il suggestivo Macbeth di Joel Coen, il cartoon Encanto e soprattutto il riuscito La Fiera delle Illusioni.
Nella categoria dedicata ai documentari a distinguersi è innanzitutto Summer of Soul (… Or, When the Revolution Could Not Be Televised), primo lavoro da regista del musicista Ahmir “Questlove” Thompson (già batterista dei The Roots), che racconta l’Harlem Cultural Festival del 1969; già molto premiato nel corso della stagione dei premi (dal Sundance agli Spirit Awards, dai Critics’ Choice fino ai BAFTA), l’acclamato lungometraggio dovrà però vedersela con il danese Flee di Jonas Poter Rasmussen (già vincitore del prestigioso IDA Documentary Award), personalissimo reportage di una lunga e dolente fuga verso la libertà, che a sua volta si impone in competizione con il suo rilevante tris di candidature: infatti, come suddetto, tale titolo a sua volta molto applaudito si distingue per essere non solo il secondo documentario candidato come miglior film d’animazione e la quinta opera di non-fiction in corsa per il premio come miglior film internazionale, ma anche il primo titolo in assoluto ad accorpare a tale coppia di designazioni già senza precedenti una terza, ulteriore nomination in questa categoria. Da non sottovalutare è però anche Attica (efficace riflessione sulla dilagante violenza del sistema carcerario), realizzato per Showtime da Traci Curry in collaborazione con il più noto e già molto premiato storico e documentarista Stanley Nelson. Chiudono la cinquina Ascension della cino-americana Jessica Kingdon (sulla contemporanea visione della Cina tra produttività e innovazione) e l’indiano Writing with Fire realizzato dai coniugi filmmaker Sushmit Ghosh e Rintu Thomas (impegnati ad illustrare su schermo il lavoro dell’unica testata giornalistica dell’India gestita da donne Dalit, ovvero appartenenti alla casta “più bassa” della società). A sorpresa, quest’ultimo titolo soffia quindi la candidatura al ben accolto The First Wave, all’apprezzato Julia e alla produzione Netflix Procession: Più Forti Insieme, anche se tra gli esclusi in questa categoria sono inoltre da citare The Velvet Underground di Todd Haynes e The Rescue – Il Salvataggio dei Ragazzi (produzione National Geographic molto quotata eppure sorprendentemente snobbata dall’Academy).
MIGLIOR CORTOMETRAGGIO
- Ala Kachuu – Take and Run (Maria Brendle, Nadine Lüchinger)
- The Dress (Tadeusz Łysiak, Maciej Ślesicki)
- The Long Goodbye (Aneil Karia, Riz Ahmed)
- On My Mind (Martin Strange-Hansen, Kim Magnusson)
- Please Hold (K.D. Dávila, Levin Menekse)
MIGLIOR CORTOMETRAGGIO D’ANIMAZIONE
- Affairs of the Art (Joanna Quinn, Les Mills)
- Bestia (Hugo Covarrubias, Tevo Díaz)
- Boxballet (Anton Dyakov)
- Robin Robin (Dan Ojari, Mikey Please)
- The Windshield Wiper (Alberto Mielgo, Leo Sanchez)
MIGLIOR CORTOMETRAGGIO DOCUMENTARIO
- Audible (Matt Ogens, Geoff McLean)
- Lead Me Home (Pedro Kos, Jon Shenk)
- The Queen of Basketball (Ben Proudfoot)
- Three Songs for Benazir (Elizabeth Mirzaei, Gulistan Mirzaei)
- When We Were Bullies (Jay Rosenblatt)