Durante una missione su Marte, l’astronauta Mark Watney (Matt Damon) viene considerato morto dopo una forte tempesta e per questo abbandonato dal suo equipaggio. Ma Watney è sopravvissuto e ora si ritrova solo sul pianeta ostile. Con scarse provviste, l’astronauta deve attingere al suo ingegno, alla sua arguzia e al suo spirito di sopravvivenza per trovare un modo per segnalare alla Terra che è vivo. Intanto, milioni di chilometri di distanza, la NASA e un team di scienziati internazionali lavorano instancabilmente per cercare di portare “il marziano” a casa, mentre i suoi compagni cercano di tracciare un’audace, se non impossibile, missione di salvataggio.
A tre anni dal poco riuscito Prometheus, il nuovo ritorno alla fantascienza di Ridley Scott segna un interessante cambio di registro per colui che aveva già lasciato un doppio segno indelebile nella storia del genere con due capisaldi come Alien e Blade Runner. Nel mettere in immagini il bestseller L’Uomo di Marte di Andy Weir (uscito prima a puntate sul web e poi in libreria), adattato per lo schermo da Drew Goddard con accortezza e una certa fedeltà non snaturata da alcune licenze funzionali al linguaggio cinematografico, il regista inglese si scosta infatti dagli incubi futuribili e dai sottotesti filosofeggianti che caratterizzavano le sue precedenti incursioni nel genere, preferendo questa volta un approccio più realistico e meno pessimista con cui fonde felicemente puro spettacolo, tocchi di humour e rimandi cinefili, il tutto in funzione di un’ottimistica fiducia nel tanto bistrattato genere umano. Lontano dalla Sci-Fi delle guerre intergalattiche e degli incontri ravvicinati (il marziano del titolo non è un alieno e non genera alcuna riflessione metafisica), è piuttosto un apologo alla Robinson Crusoe calato in un contesto più verosimile di (fanta)scienza concettuale che, pur con evidenti debiti ad Asimov e Arthur C. Clark, alla fine risulta più prossimo alle avventure di Jules Verne, Jack London e (appunto) Dafoe piuttosto che alle elucubrazioni di Burroughs o Bradbury: in antitesi agli incubi apocalittici di quella fanta(co)scienza speculativa sui significati dell’universo, la sua formula che unisce avventura spaziale e storia di sopravvivenza lo rende infatti associabile più ad Apollo 13 e Cast Away che a Gravity o Interstellar (quest’ultimo chiamato in causa dai più per prossimità temporale o per i due membri del cast in comune), optando piuttosto per una resa più plausibile e di efficace sobrietà, ottenuta sfruttando con strategica abilità le dinamiche del blockbuster; conservandone il ritmo, il senso dello spettacolo e l’agile scorrevolezza ma senza abusare della retorica hollywoodiana (anche l’orgoglio a stelle e strisce, pur presente specialmente nella seconda parte, non risulta in questo caso invasivo), ricorre infatti agli effetti speciali subordinandoli ad un racconto fondato sulle dinamiche tra personaggi e sui dialoghi brillanti più che sull’azione frenetica, sviluppando con adeguata tenuta narrativa e sapiente leggerezza una solida e coinvolgente narrazione a tre livelli, ben cadenzata dal montaggio del fido premio Oscar Pietro Scalia: il primo si concentra sui metodi di conservazione di Mark rimasto bloccato sul pianeta rosso (suggestivi paesaggi desertici trovati in Giordania, esaltati dall’ottima fotografia di Darius Wolski), assolvendo il compito narrativo con l’espediente di trasporre quelli che nel romanzo erano diari di bordo in forma di calzanti registrazioni; il secondo, sulla Terra, illustra la conseguente mobilitazione della NASA per stabilire un contatto e quindi cercare un sistema per salvarlo; il terzo, sull’astronave con l’equipaggio che l’ha lasciato indietro credendolo morto, fa invece da ponte tra le prime due, svolgendo in seguito un ruolo chiave nella rischiosa operazione votata a riportare a casa il malcapitato astronauta. Mescolando così i toni del racconto con quella padronanza che contraddistingue le sue opere migliori, Scott alterna fluidamente gusto dell’avventura, tensione drammatica e parentesi ironiche (il tutto sottolineato da una calzante colonna musicale che spazia con simpatia da David Bowie agli ABBA fino a Gloria Gaynor e Donna Summer), attivando un coinvolgimento che non proviene dalla vertigine sensoriale o da oscure visioni distopiche, bensì dalla progressiva scoperta di come le doti e le qualità umane possano in effetti condurre alla salvezza. Perché rivendicando una speranzosa fiducia nelle risorse dell’individuo (abilità, riflessione, istinto di sopravvivenza), The Martian diventa infatti un ottimistico elogio dello spirito ingegnoso e pionieristico del genere umano, ben incarnato da un centrato eroe positivista (interpretato con sicurezza e credibilità da un ottimo Matt Damon, ben supportato da un’affiatata squadra di comprimari) che nell’appassionare il pubblico con la sua forza di volontà unita all’importanza della conoscenza e all’entusiasmo della scoperta, potrebbe anche stimolare una nuova fascinazione per l’astronomia. Non a caso, solo nella prima settimana di programmazione nelle sale statunitensi il film ha già incassato 55 milioni di dollari, divenendo peraltro il secondo miglior debutto di Scott al botteghino americano.
Sopravvissuto - The Martian | |
Sopravvissuto - The Martian | |
Summary
“The Martian”; di Ridley Scott; con Matt Damon, Jessica Chastain, Jeff Daniels, Kate Mara, Michael Peña, Sean Bean, Kristen Wiig, Chiwetel Ejiofor, Sebastian Stan, Crispin Glover, Mackenzie Davis, Naomi Scott, Askel Hennie, Benedict Wong, Eddy Ko; fantascienza; USA, 2015; durata: 141’. |
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