Un criptico messaggio dal suo passato conduce James Bond (Daniel Craig) sulle tracce di una sinistra organizzazione. Mentre M (Ralph Fiennes) combatte contro alcune forze politiche per mantenere in vita i servizi segreti, l’agente 007 s’immerge quindi in una rete di inganni per svelare la terribile verità dietro a Spectre.
Ventiquattresimo episodio ufficiale della saga più longeva della storia del cinema, è il secondo diretto da Sam Mendes e il quarto con protagonista Daniel Craig, sesto attore ad interpretare Bond e volto dell’audace quanto riuscita operazione di rifondazione iniziata con il ben accolto reboot di Martin Campbell (Casino Royale, tratto dal primo romanzo della serie), proseguita con il primo vero sequel (Quantum of Solace di Marc Forster, anch’esso sceneggiato dal premio Oscar Paul Haggis) e suggellata dal trionfo del successivo Skyfall; di quest’ultimo, il nuovo episodio Spectre mantiene la squadra vincente, con Mendes alla regia e John Logan come co-sceneggiatore (insieme ai veterani Neal Purvis e Robert Wade), confermando l’intento dei produttori Michael G. Wilson e Barbara Broccoli di portare avanti quell’inedita continuità narrativa (totalmente ignorata nei film precedenti) che, insieme alla sapiente mescolanza tra tradizione ed innovazione, contraddistingue questa nuova tetralogia in probabile espansione. Così, tra richiami e connessioni agli scorsi capitoli, ecco che continua progressivamente a sbrogliarsi l’intricata matassa che da quattro episodi avvolge lo 007 di Craig, costretto nuovamente a confrontarsi con un passato (in realtà mai rimosso) di conti in sospeso e fantasmi che ritornano. Non a caso, per la prima volta nella storia della saga, questa volta ad aprire il nuovo film è una breve quanto eloquente epigrafe: “I morti sono vivi”. Perché tra richieste dall’aldilà ed inaspettate ricomparse, è proprio una fatidica rievocazione di eventi e ricordi passati a segnare questa nuova avventura dell’agente segreto nato dalla penna di Ian Fleming, che in quest’occasione ci viene infatti presentato con una maschera dalle forme di teschio durante le celebrazioni messicane del “Día de los Muertos”. Ma il succitato esergo non resta certo comunque circoscritto soltanto all’antefatto, riferendosi piuttosto alla più ampia storyline che collega tutti i più recenti capitoli: infatti, aggiungendo nuove tessere al puzzle, Spectre tira le fila e conferma gli intenti della suddescritta operazione di rinnovamento che comprende anche una riuscita revisione del personaggio principale, proponendo un Bond più tormentato anche perché perennemente impegnato a scontrarsi non solo con il villain di turno, ma anche con le ombre di chi si è lasciato alle spalle e con le conseguenti responsabilità, elementi da cui peraltro è ricavata una coerente morale in sottotesto sul libero arbitrio (“licenza di uccidere significa anche licenza di non uccidere”). In tutto ciò, a tale confronto del protagonista con le proprie radici corrisponde stavolta un effetto nostalgia più accentuato, scavando più in profondità nel mito bondiano per riproporne alcuni dei classici elementi: dalle Aston Martin ai Vodka Martini, dalla esotiche location di bellezza un po’ turistica alle spruzzate di erotismo, dai gadget micidiali agli scagnozzi di goldfingeriana memoria (il silenzioso quanto letale Mr. Hinx dell’imponente wrestler Dave Bautista), fino ovviamente alle ottime sequenze d’azione, tra le quali spiccano l’inseguimento in auto per le strade di una livida Roma notturna e il già citato incipit di mirabolante virtuosismo (dal lunghissimo pianosequenza che inizia nelle strade affollate e finisce sul cornicione di un albergo, fino al trascinante scontro su un elicottero ad alta quota). A questo proposito, coadiuvato da una sempre eccellente squadra di tecnici (densa fotografia dell’ottimo Hoyte Van Hoytema, montaggio funzionale di Lee Smith, musiche del grande Thomas Newman), Mendes orchestra infatti il tutto mantenendo l’usuale mestiere, pur dimostrandosi un po’ meno ispirato di quanto non lo fosse per il precedente Skyfall, di cui quest’ultimo film non raggiunge le vette che ne fecero uno dei migliori capitoli della saga (trionfo coronato da un incasso record e da due premi Oscar); infatti, pur tenendo viva l’intenzione di inserire nuovamente ambizioni da film d’autore nei meccanismi del blockbuster, d’altra parte stavolta il tutto appare più convenzionale e meno inventivo, anche per quanto riguarda l’equilibrio tra riusciti momenti d’azione e un po’ meno efficaci passaggi d’astrazione: per continuare la composizione del mosaico e collegare gli elementi cercando di non scadere nella ripetitività e negli schematismi, la struttura procede per rimandi ad incastro puntando a mitigare la spettacolarità dei momenti adrenalinici senza al contempo perdere in suspense e coinvolgimento, ma ciò rischia al contempo di rendere il tutto un po’ meccanico e meno incalzante, faticando a ritrovare quella trascinante combustione tra ritmo sostenuto e tensione drammatica che era uno degli elementi vincenti dello scorso episodio. Perfino la sequenza dei titoli e il relativo brano d’apertura (affidato questa volta a Sam Smith e premiato con l’Oscar), non vibrano della stessa potenza iconica che invece la hit di Adele riusciva a conferire all’incipit del film precedente. D’altra parte, va detto che Spectre resta comunque un Bond più che discreto, piuttosto solido nella costruzione ma anche coerente nel rispettare la succitata nuova formula che prevede una veste inedita ma al tempo stesso per niente avulsa dalle origini, conferendo al tutto una gustosa impronta artigianale ottenuta anche attraverso il limitato ricorso agli effetti digitali e sottolineata da ammiccanti parentesi nostalgiche (dalle care vecchie multinazionali del crimine con logo aggiornato all’inconfondibile tema di Monty Norman). Infine, per quanto riguarda il cast di comprimari, il tarantiniano Waltz sfrutta la sua presenza scenica ed infonde il giusto brio ad un villain riuscito anche se non memorabile quanto il precedente Silva di Javier Bardem, mentre lascia davvero il segno la nuova Bond Girl della francese Seydoux, capace di caricare di magnetismo un personaggio il cui nome (Madeleine Swann) può far pensare ad un’allusione proustiana come ulteriore riferimento al tempo passato; tra le altre figure di contorno, Ben Wishaw riesce a ravvivare l’interesse per il personaggio di Q (a cui è affidata la sottile vena umoristica) e Ralph Fiennes delinea con accuratezza il nuovo M raccogliendo con classe la difficile eredità di Judi Dench, mentre la Bellucci resta confinata in un ruolo per lo più decorativo che infatti non aggiunge granché alla trama. In tutto ciò, ovviamente anche questa volta il pubblico ha comunque risposto bene: uscito in patria in 647 sale tra cui 40 schermi IMAX (la più ampia distribuzione mai vista su territorio britannico), nonostante non sia riuscito ad eguagliare il risultato totale ottenuto da Skyfall, nella prima settimana di programmazione il film ha comunque fatto faville al botteghino, racimolato nelle sale inglesi oltre 40 milioni di sterline e divenendo così il maggior incasso di sempre nel weekend d’esordio in Inghilterra (battendo il record precedentemente detenuto da Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban).
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Summary
id.; di Sam Mendes; con Daniel Craig, Léa Seydoux, Christoph Waltz, Ralph Fiennes, Ben Whishaw, Naomie Harris, Dave Bautista, Monica Bellucci, Rory Kinnear, Andrew Scott, Jesper Christensen, Peppe Lanzetta, Alessandro Cremona, Stephanie Sigman; azione; G.B./ USA, 2015; durata: 148’. |
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