Timido operaio alla catena di montaggio, Charlot (Charles Chaplin) è vittima e cavia dei macchinari infernali della fabbrica. Quando perde il posto, incappa in una serie di imprevisti e disavventure cercando di trovare un nuovo impiego, finché il suo destino sventurato s’intreccia a quello di una povera ma generosa ragazza (Paulette Goddard).
A quasi un decennio dall’arrivo del suono, dopo Luci della Città Chaplin riconferma il proprio scetticismo verso tale nuova tecnica (che credeva avrebbe tolto poesia alla mitica figura del vagabondo) e accantona l’intenzione iniziale di adattarsi alla sua pur ormai inevitabile diffusione e di aggiungere quindi i dialoghi, realizzando invece (in audace controtendenza con l’evoluzione cinematografica dell’epoca) uno straordinario film sonoro ma non parlato: ad occasionali effetti e rumori sincronizzati o filtrati attraverso apparecchi elettronici si aggiungono alcuni mormorii e borbottii che sostituiscono appunto le battute, con l’eccezione di un passaggio in cui l’autore e protagonista fa sentire la sua voce per la prima volta interpretando una versione della popolare canzone “Io Cerco la Titina” con testo reinventato in un esilarante “grammelot” improvvisato. Così, puntando ancora sulla vincente formula delle sue comiche con al centro la succitata maschera del vagabondo Charlot (personaggio di cui tuttavia questo film segna l’ultima apparizione), Chaplin realizza un’imperdibile commedia slapstick che diventa una pungente, arguta ed efficacissima satira di costume sul convulso processo di modernizzazione e le sue inquietanti ripercussioni sulla società. Perché, attraverso una sequela di situazioni geniali e gag irresistibili, messe in scena con infallibile sapienza e articolate con un’armoniosa frenesia spinta fino al grottesco e al surreale (dai marchingegni che ingoiano e sputano l’uomo alle folle che si spostano e lavorano come automi), Tempi Moderni restituisce con fine e brillante acume tragicomico il clima di straniante nevrosi provocato ed esacerbato da quell’inarrestabile predominio della meccanizzazione che incombe e grava sulla realtà moderna; infatti, nella sua condanna indistinta eppure lucidissima a capitalismo e stacanovismo, Chaplin eleva il tutto a pungente critica su quell’impietoso sistema di profitto che, minando la dignità dell’individuo assoggettandolo ai suoi ritmi disumani, è insieme causa ed effetto di sfruttamento e disuguaglianza sociale. In ciò, anche nell’odierna era dell’egemonia tecnologica, il film si mantiene quindi incredibilmente attuale non solo per tale condanna al sistema sempre valida e graffiante, ma anche per la forza sovversiva, ancora dirompente e per quei tempi perfino audace (vedere ad esempio la scena dell’accidentale assunzione di cocaina) con cui invita a cercare una personale liberazione attraverso un’anarchica ribellione all’alienante e spersonalizzante conformismo della società dei consumi; non a caso, il film si chiude con una sentita apertura alla speranza, come denota l’iconica inquadratura finale in cui il protagonista e la dolce “monella” interpretata da Paulette Goddard (all’epoca moglie di Chaplin), s’incamminano insieme verso una nuova alba e un futuro incerto ma non più solitario: è la degna, efficace e coinvolgente conclusione di quello che resta un autentico capolavoro, ricchissimo di sequenze memorabili e ancora oggi sorprendente, trascinante e decisamente rilevante.
Tempi Moderni | |
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Summary
“Modern Times”; di CHARLES CHAPLIN; con CHARLES CHAPLIN, PAULETTE GODDARD, HENRY BERGMAN, TINY SANDFORD, ALLAN GARCIA, LLOYD INGRAHAM, HANK MANN, LUIS NATHEAUX; comico; USA, 1936; B/N; durata: 89’; |
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