In occasione di uno dei suoi spettacoli serali, l’aspirante comico pachistano Kumail incontra la studentessa Emily e le chiede di uscire; ben presto, quella che entrambi pensavano fosse soltanto un’avventura si trasforma in un’autentica storia d’amore, destinata però a misurarsi con i pregiudizi delle rispettive famiglie: infatti, se da una parte i tradizionalisti genitori musulmani di Kumail puntano al matrimonio combinato, dall’altra quelli di Emily sono invece una coppia di cinquantenni cinici e disillusi. Ma quando Emily contrae una misteriosa malattia, Kumail si vede costretto ad affrontare tale situazione, trovandosi a dover gestire il conflitto tra i legami familiari e i suoi nuovi sentimenti.
Nel panorama della commedia americana contemporanea, tra le maggiori novità a rinfrescare il genere spicca certamente la fortunata “factory” di Judd Apatow, prolifico produttore, sceneggiatore e regista il quale, dalla metà degli anni Novanta, ha infatti saputo imporre con grande successo una formula sempre più collaudata che prevede un registro di spinto umorismo spesso demenziale ma dal retrogusto amaro per mettere in scena tragicomiche vicende umane, il tutto spesso scritturando talenti comici in ascesa provenienti anche dal palcoscenico o dalla televisione: un filone ormai assai riconoscibile in cui si inserisce anche quest’ultimo progetto con il quale, in veste di co-produttore ma in un’operazione simile alla sua ultima regia Un Disastro di Ragazza (che lanciò definitivamente al cinema la già nota interprete e autrice comica Amy Schumer), promuove ora sul grande schermo Kumail Nanjiani, altro talento della stand-up comedy già noto grazie alla serie TV Silicon Valley e a sua volta alla prima esperienza come protagonista e co-sceneggiatore di un lungometraggio. È infatti innanzitutto a lui che appartiene in maggior misura questa nuova commedia (presentata non a caso con ottimo riscontro al Sundance Film Festival) in cui, assecondato con complicità dal regista Michael Showalter (principalmente attivo come attore o sceneggiatore e qui alla sua terza prova dietro la macchina da presa), Nanjiani ha infatti messo in scena se stesso (tanto da lasciare il proprio nome al suo personaggio) per raccontare la sua autentica relazione con la moglie nonché co-sceneggiatrice Emily V. Gordon, interpretata invece da Zoe Kazan (nipote del grande regista Elia); perché la vicenda dell’aspirante commediante pachistano che si innamora della studentessa yankee è infatti semi-autobiografica, e nel fare propria la lezione di Apatow (ovvero seguendone modi e parametri ma attenuando le venature più dark pur senza timore di confrontarsi con la mutevole indole umana) Nanjiani e Showalter l’hanno portata sullo schermo con felice e vincente vivacità optando per un sapiente amalgama di frizzante comicità e sottile malinconia che diverte ed emoziona, veicolando inoltre un messaggio positivo e rilevante in maniera non banale né buonista. Infatti, pur rispettando le convenzioni del “boy meets girl”, nonostante qualche conseguente strascico nel finale lo svolgimento riesce comunque a mantenersi originale e coinvolgente, dimostrando agilità nel cavalcare gli stilemi della commedia di situazione, evitando di scadere nel sentimentalismo nei passaggi romantici ed invitando al contempo ad una riflessione su questioni tutt’altro che trascurabili nonché ben radicate nell’attuale società globalizzata: nel mostrare le implicazioni della contravvenzione da parte dei due protagonisti alle rispettive radici (l’islamica e la wasp), la narrazione procede infatti snodando un tessuto tematico che comprende lo shock culturale e i pregiudizi razziali arrivando finanche alla ricerca di un’identità sociale, come dimostra la confusa condizione di Kumail (il quale, nel sentirsi americano pur dovendo rispettare la tradizione pakistana, finisce per essere visto con diffidenza da entrambe le parti). In tutto ciò, sostenuto anche da un valido cast di interpreti (tra i quali, nei panni dei genitori di Emily, spiccano inoltre Ray Romano e soprattutto Holly Hunter) il racconto procede così con una sincera e intelligente autoironia che si rivela il cardine e uno dei maggiori punti di forza di questa deliziosa commedia in cui, infatti, anche quando si sfiora il dramma non mancano dialoghi e battute brillanti, mantenendo piuttosto una leggerezza di fondo garbata ma non accomodante che come tale rispecchia l’indole del suo protagonista, sempre fiducioso in un ottimismo capace di far trovare nuove ragioni per sorridere. Non a caso, il “sick” del titolo significa malattia, ma se associato a “joke” (ovvero “scherzo”) indica una battuta macabra, e il segreto risiede anche nell’abilità di equilibrare, proprio come talvolta accade in quella realtà qui sagacemente stemperata nella risata, queste due polarità dell’esistenza.
The Big Sick | |
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Summary
id.; di Michael Showalter; con Kumail Nanjiani, Zoe Kazan, Ray Romano, Holly Hunter, Anupam Kher, Adeel Akhtar, Bo Burnham; commedia; USA, 2017; durata: 117'. |
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