Durante un viaggio in Europa, l’americano Neil (Ben Affleck) conosce l’ucraina Marina (la saltellante Olga Kurylenko), divorziata e con una figlia a carico. I due si innamorano, e viaggiano verso Mont-Saint Michel, isolotto al largo della costa della Normandia. Lei lo segue in Oklahoma, dove lui lavora come ispettore ambientale, ma dopo qualche tempo il rapporto si incrina; tra relazioni clandestine ed incomprensioni insormontabili, entrambi cercheranno conforto in Padre Quintana (Javier Bardem), prete cattolico che sta attraversando una crisi di Fede.
Arrivato al 6° film in una carriera di 40 anni, dopo “The Tree of Life” il grande autore texano Terrence Malick continua sulla strada (definitiva?) della trascendenza spirituale: anche qui, infatti, non c’è storia o trama dalla struttura tradizionale, ma piuttosto la ricerca filosofica di significati universali. Tra paura dei sentimenti, solitudine ed incomunicabilità, scontro con se stessi e presenza e potenza della natura, molti temi sono gli stessi del film precedente, e la dimensione prediletta è ancora una volta naturale e religiosa, ma tra la Grazia, la Natura e la Fede questa volta il perno tematico è il concetto contrastato di Amore, snodato attraverso discorsi filosofeggianti (“il dolore può unire due amanti più della gioia”, oppure “chi meno ama è più forte”) e metafore visive d’impatto (su tutte, l’isola di Mont Saint-Michel, la “meraviglia” del titolo, radicata nel terreno ma slanciata verso il cielo). Parlato pochissimo e in quattro lingue diverse, con un esiguo soggetto anti-narrativo iperdilatato in un elaborato ed ellittico montaggio di suoni e di gesti (senza una cronologia lineare e con un uso ieratico della voce fuori campo), è un’opera affascinante ma irrisolta, in bilico tra sacro metafisico e banalità New Age. Potrebbe essere considerato come un’appendice (o un prequel?) dello splendido e succitato “The Tree of Life”, ma questa volta il miracolo non si ripete: la magnifica ricercatezza formale è ancora di grande impatto (grazie anche alla fotografia del messicano Emmanuel Lubezki e di un montaggio a 10 mani), ma se nel film precedente quella suggestiva ed avvolgente cosmogonia era funzionale per inquadrare il senso e quindi il valore dei significati espressi, in questo caso invece l’innesto fatica ad attecchire, la grandezza visionaria rasenta il manierismo, e quell’erudizione trasformata in sperimentazione linguistica rimane soffocata dalle gigantesche ambizioni. Certo, il fascino di certe sequenze è innegabile, ed è ormai chiaro che a Malick interessa la suggestione forse più che la comunicazione, ma il pensiero trascendentale inquadrato dal maestro questa volta finisce per attrarre ed insieme respingere, in un’estrema radicalizzazione della zavorra poetica-filosofica che lascia a tratti interdetti, non riuscendo a provocare nello spettatore quell’abbandono totale dei sensi (del cuore e dello spirito) con cui si poteva “sentire” e quindi “vivere” l’emozionante potenza espressiva di “The Tree of Life”. Presentato in concorso a Venezia 2012 dove ha spaccato la critica, divisa tra fischi delusi e applausi elogianti.
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Summary
id.; di Terrence Malick; con Ben Affleck, Rachel McAdams, Olga Kurylenko, Javier Bardem, Tatiana Chiline, Romina Mondello, Tony O'Gans, Charles Baker; drammatico; USA, 2012; durata: 112'. |
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