Le sorelle Raimunda (Penélope Cruz) e Soledad (Lola Dueñas) si sono costruite, pur con non poche difficoltà, una nuova esistenza a Madrid dopo essersi lasciate alle spalle la turbolenta infanzia trascorsa in un paese de La Mancha, dove invece ancora vivono l’amica Augustina (Blanca Portillo) e l’anziana zia Paula (Chus Lampreave). La morte di quest’ultima darà però origine ad un’inaspettata catena di eventi che costringerà le due sorelle a confrontarsi con il loro passato: infatti, mentre Raimunda si ritrova a dover aiutare l’amata figlia adolescente (Yohana Cobo), coinvolta in dolorosi avvenimenti sfociati in drammatici e pericolosi sviluppi, Soledad riceve invece l’inaspettata visita di quello che in molti identificano come il pacifico ma irrequieto spettro della madre defunta (Carmen Maura), “tornata” per riparare alcune colpe e cercare di fare finalmente chiarezza su antichi ma importanti segreti rimasti troppo a lungo celati e irrisolti.
Dopo il passionale (pseudo) noir esistenziale al maschile La Mala Educación, Pedro Almodóvar torna a raccontare l’universo femminile a lui da sempre caro in questo suo sedicesimo lungometraggio nel quale continua ad affinare quella formula vincente alla base di un teorema espressivo e poetico che, nella sua incisiva personalità, è diventato ormai ben riconoscibile. Infatti, confermando nuovamente una pienezza espressiva già totalmente dimostrata con i precedenti Tutto su Mia Madre e Parla con Lei, l’autore realizza un nuovo, memorabile capitolo della sua commedia umana che, come tale, s’inserisce perfettamente in un itinerario a cui resta coerente pur continuando al contempo a perfezionare ulteriormente quella tipica contaminazione di generi riconducibile innanzitutto alla caratteristica abilità di riversare elementi di vivace spensieratezza in un contesto da (melo)dramma e viceversa. Orchestrato appunto con un approccio in altalena tra sbarazzina leggerezza da vaudeville quasi farsesco e vibrante contegno dolente da tragedia classica, è un racconto di teneri (pseudo) fantasmi “senza lacrime”, forte vento picaresco, dipartite serene e legami indissolubili in cui si alternano indicibili segreti familiari e rocamboleschi delitti insoluti, bucolici funerali affollati di prefiche e sepolture clandestine nei pressi di fiumi evocativi, serate di festa in locali abusivi e malate terminali in cerca di risposte; così, calibrando infatti letizia e sgomento, solitudini e alleanze, candore e risolutezza, tale intreccio di situazioni verosimili in quanto paradossali (o viceversa) si snoda con sapiente equilibrio in una messinscena di surreale naturalismo che richiama le fiabe e al contempo rispecchia la vita, il tutto all’insegna di una carezzevole nostalgia con cui, attingendo anche da reminiscenze infantili, il regista omaggia quel radicato matriarcato di focosa tradizione mediterranea che l’ha cresciuto e accudito. Non a caso, le figure maschili restano qui poco rilevanti, relegate sullo sfondo insieme a quei toni più impetuosi, eccentrici e talvolta grotteschi che stavolta l’autore sublima in un’appunto agrodolce dimensione sospesa tra impulsi, sensazioni e memorie in cui (come anticipa l’esemplare e folgorante sequenza iniziale della collettiva pulizia delle tombe) viventi e defunti convivono tra le le lacrime e i sorrisi di una sorellanza solida e variegata, pragmatica e sensibile, generatrice di esistenza, fedele nel percorso di vita e accompagnatrice alla dipartita. Tutto ciò si combina in quest’opera composita e trascinante con una miracolosa armonia di sobria eppure sicura naturalezza frutto di un’ormai totale quanto ancora florida maturità, convergendo in un finale non a caso aperto a imprevedibili avvenimenti, nuovi fantasmi e naturalmente altri ritorni (dal succitato ricordo dell’infanzia all’attaccamento alle origini, fino alla riscoperta dei rapporti), commemorati anche nell’immancabile intermezzo musicale di grande emozione in cui la Cruz (con la voce di Estrella Morente) interpreta l’eponima tango-canción di Carlos Gardel. Perché, fremente di quel rosso caro all’autore (che è colore della sua Spagna, dell’anima scossa, del sangue generazionale) e animato anche dal suo consueto amore cinefilo (guardando questa volta al neorealismo italiano, in una scena esplicitamente citato e d’ispirazione per la costruzione dei personaggi) questo straordinario film sorridente sulla morte è infatti anche, come tale, un commovente, trascinante inno alla vita. Tra i numerosi riconoscimenti ottenuti dalla pellicola, oltre ai 5 importanti Goya in patria (tra cui miglior film e regia) spiccano inoltre 4 European Film Awards e la rilevante doppietta al festival di Cannes, dove infatti vinse il premio per la sceneggiatura e quello all’interpretazione femminile, assegnato collettivamente alle sei attrici protagoniste (tutte davvero straordinarie, anche se una speciale menzione va forse riservata alle due “muse” del regista, ovvero l’intensa Carmen Maura e la già citata Penélope Cruz, quest’ultima anche candidata all’Oscar).
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Summary
“Volver”; di PEDRO ALMODÓVAR; con PENELOPE CRUZ, CARMEN MAURA, LOLA DUENAS, BLANCA PORTILLO, YOHANA COBO, CHUS LAMPREAVE; drammatico; Spagna, 2006; durata: 120’. |
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