La vera storia di Jordan Belfort (Leonardo DiCaprio), broker apprendista che tra gli Anni ’80 e ’90 arriva ai vertici di Wall Street con la vendita di azioni fraudolente, in uno sfoggio senza limiti di potere e corruzione: fondata una società di brokeraggio di successo rapidissimo e sempre maggiore, all’età di 26 anni arriverà a guadagnare annualmente 49 milioni di dollari. Il successo inizia però a guastarsi quando la rumorosa ascesa attira l’attenzione dell’FBI.
Dal romanzo autobiografico di J. Belfort, adattato per lo schermo da Terence Winter (“I Soprano”), Scorsese ha cavato un denso filmone di tre ore (il suo più lungo) in cui fa esplodere quell’assenza di limiti che ne permea il contenuto in un sorta di scatenato luna park schizoide, dannato e monumentale, senza barriere di equilibrio, controllo o verosimiglianza, attivando una giostra adrenalinica di situazioni al limite della credibilità e personaggi paradossali, mantra motivazionali ed ostentazioni invasate, sesso sfrenato e cocaina a fiumi, dollari facili e macchinazioni spregiudicate. Totalmente immerso in un contesto di assoluta amoralità, reso attraverso una messinscena schizofrenica senza preciso baricentro narrativo, non è però un film sulle dinamiche economiche o sulla reazione a catena che porta alla crisi, perché di quel mondo di capitalismo cattivo e di eccessi speculativi a Scorsese (come spesso accade) interessa piuttosto la dimensione antropologica: fondato sulla dismisura (di durata, di sequenze al limite del credibile, di ossessioni, scurrilità e perversioni), è il racconto dell’inarrestabile ascesa e della rovinosa caduta di uno squalo della finanza a metà tra gangster e prestigiatore, la cui chiave del successo risiede nel creare l’illusione di un desiderio, puntando su sprovveduti risparmiatori della classe media ed instillando in loro l’ansia del Sogno Americano. Nella sua analisi quasi etnologica di una fascia generazionale di yuppie che dietro la facciata curata cela una dilagante superficialità, un’ingordigia senza scrupoli e un’assenza totale di etica, è il ritratto di un modo di essere e di uno stile di vita, snodato attraverso una scrittura narrativa che, tra ridondanze ed eccessi iperbolici, non prevede catarsi né attenuanti psicologiche o sociali; a questo proposito, l’acceso dibattito che ha scatenato (è accettabile portare sullo schermo individui che oltrepassano i limiti per ubriacatura da denaro facile, il tutto con un piglio apparentemente acritico?) preclude un sospetto di possibile emulazione magari anche legittimo, ma nonostante l’estrema e a tratti irresistibile audacia di situazioni politicamente scorrette (alcune, tra l’altro, davvero memorabili), tale approccio più o meno compiaciuto non ha come scopo una trasgressione fine a se stessa, ma piuttosto un libero profilo da schietta e personale relazione clinica senza filtri: il punto di vista è proprio quello di Jordan, e la cifra tonale che lo rispecchia tiene lo spettatore costantemente sospeso tra fascinazione e repulsione. Se davvero qualcosa un po’ disorienta, è piuttosto da ricercarsi a livello (strettamente filmico) di scrittura stilistico-narrativa, ovvero quando, nell’ambizioso intento di trasferire il clima del filone gangster in una commedia che trapassa in farsa, gli estremismi e il nerissimo humour rischiano talvolta di minare l’equilibrio e la fluidità del racconto, intaccando un ritmo già vorticoso (montaggio dell’ottima e fidata Thelma Schoonmaker) e rendendo così l’adesione a tratti meno immediata. D’altra parte, ciò non compromette certo il coinvolgimento in toto e/o la generale riuscita di un’opera notevole e ammaliante che, anche tra cambiamenti di tono e ricchezza di situazioni paradossali, resta in linea con la filmografia scorsesiana per audace estro stilistico, foga nel linguaggio espressivo (sia a livello descrittivo e di messaggi come anche dal punto di vista storico-sociale), accuratezza nell’avvolgente ambientazione (fotografia di Rodrigo Prieto, costumi di Sandy Powell, musiche di Howard Shore) ed eccellente efficacia degli interpreti: circondato e supportato da comprimari di livello (dal fedele associato Jonah Hill alla conturbante moglie Margot Robbie, dal padre schizzato di Rob Reiner fino al luciferino McConaughey), il protagonista assoluto Leonardo DiCaprio domina il film in un ruolo da premio che è sicuramente tra i più incisivi della sua carriera, davvero sensazionale per la furia schizoide, il sardonico umorismo e il virtuoso istrionismo con cui s’è calato nel personaggio. Buon risultato al box office, coronato da 5 candidature agli Oscar (miglior film, regia, sceneggiatura, attore e attore non protagonista a Jonah Hill) e un Golden Globe a DiCaprio.
The Wolf of Wall Street | |
The Wolf of Wall Street | |
Summary
id.; di Martin Scorsese; con Leonardo DiCaprio, Jonah Hill, Margot Robbie, Rob Reiner, Jean Dujardin, Matthew McConaughey, Jon Favreau, Cristin Milioti, Kyle Chandler, Jon Bernthal, Ethan Suplee, Shea Whigham, Spike Jonze, Chris Riggi, Joanna Lumley; commedia; USA, 2013; durata: 179’. |
%
Voto al film
|
0 (0 votes) | :